La frontiera non fa tutto da sola

La performance dei mercati meno sviluppati è frutto di alcuni cambiamenti strutturali, ma anche di ribilanciamenti dei panieri che hanno costretto gli investitori ad adeguarsi. Intanto anche i bond diventano interessanti. 

Marco Caprotti 30/07/2014 | 10:59
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I mercati di frontiera continuano a regalare soddisfazioni agli investitori. Ma, dicono gli analisti, è meglio non farsi prendere da eccessivo entusiasmo. La corsa, infatti, può essere frutto anche di fattori tecnici. L’indice Msci che raccoglie questo segmento di investimento, ad esempio, nell’ultimo mese (fino al 29 luglio e calcolato in euro) ha guadagnato il 3,7%, portando a +25,3% la performance da inizio anno. “Questi andamenti sono sicuramente il frutto dei fondamentali in miglioramento dei frontier market, ma nascono anche dai cambiamenti che sono stati apportati al paniere”, spiega Patricia Oey, analista di Morningstar. “Il benchmark ora è maggiormente orientato, rispetto al passato, verso i titoli del Qatar e degli Emirati arabi uniti. I settori maggiormente rappresentati, in questi casi, sono le banche e il real estate che hanno potuto approfittare dei pesanti investimenti infrastrutturali che hanno effettuato i due paesi”.

Cosa cambia nella frontiera
Resta il fatto che la scoperta dei mercati di frontiera non è storia solo degli ultimi mesi. “Per alcuni anni la crescita di questi paesi è stata spiegata con l’abbondanza di materie prime. Certo, la domanda sostenuta di commodity da parte di mercati sviluppati e in via di sviluppo - come Cina e India - è stata favorevole per molte economie ricche di risorse”, spiega uno studio firmato da Kevin Daly, Senior Investment Manager Emerging Markets Debt Aberdeen Am. “Tuttavia, un miglioramento delle politiche macroeconomiche, una maggiore stabilità politica, decisioni più consapevoli e la creazione di istituzioni politicamente indipendenti e ben gestite hanno contribuito a una forte crescita anche in molti Paesi non ricchi in termini di risorse”.

La Tanzania, ad esempio, ha messo in atto riforme strutturali negli anni '90, migliorando l’ambiente economico domestico e incoraggiando flussi significativi di donatori e investimenti diretti esteri. Oggi la crescita è supportata anche da popolazioni giovani e in crescita, che hanno determinato un aumento molto rapido della forza lavoro rispetto alla popolazione inattiva. “Il fenomeno - noto come dividendo demografico - può contribuire a migliorare il reddito pro capite, la spesa dei consumatori domestici e la sostenibilità della crescita economica”, continua il report. “Questo, combinato con miglioramenti nelle infrastrutture di base, quali strade, ferrovie, aeroporti e impianti di energia, sta aiutando a guidare il buon funzionamento della produzione, l'allocazione efficiente del lavoro e del trasporto delle merci e, più in generale, la comunicazione”.

Le scelte operative
Dal punto di vista operativo, i mercati di frontiera sono senza dubbio più associati ai mercati azionari, che hanno beneficiato dell'introduzione di diversi indici nel 2007. “L’universo del mercato obbligazionario conta investitori specializzati relativamente piccoli. Tuttavia l’introduzione nel dicembre 2011 dell’indice JP Morgan Nexgem in valuta forte ha portato le obbligazioni dei mercati di frontiera verso una domanda più convenzionale”, conclude Daly. “Nel corso del tempo, crediamo che l’universo del mercato obbligazionario di frontiera guadagnerà in fascino, dato che la liquidità migliorerà e i premi di rischio si abbasseranno, come è accaduto negli ultimi decenni per i mercati emergenti tradizionali”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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