L’Etf si fa furbo

Negli ultimi quattro anni gli asset europei investiti in prodotti smart beta sono aumentati del 900% e c’è ancora tanto spazio di crescita. Manca però una chiara definizione.

Valerio Baselli 05/06/2013 | 10:06
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Ultimamente se ne sente parlare sempre più spesso, nonostante non tutti abbiano confidenza con il loro funzionamento: si tratta degli Etf “smart beta”, ovvero gli Etf furbi, intelligenti. Denominazione che non piace tanto all’industria, in quanto suggerisce che gli altri prodotti, quelli tradizionali, non lo siano più di tanto.

Il mercato europeo cresce
A fine marzo 2013, sono quotati nel Vecchio continente 129 Etp smart beta (Exchange traded product, sigla che racchiude gli Etf, Etc ed Etn), i quali gestiscono quasi 9 miliardi di euro, ovvero il 3% del patrimonio totale. Secondo i dati Morningstar, nel 2009, quattro anni fa, gli asset gestiti da questi prodotti erano poco più di un miliardo (vedi grafico).

Anche negli Stati Uniti sono quotati circa 130 prodotti smart beta, che però gestiscono 58,7 miliardi di euro, pari al 5,4% del patrimonio totale. Il mercato europeo degli Etp ha da sempre seguito le orme di quello americano. In più, il crescente interesse degli investitori verso queste forme di investimento passivo ibrido lascia pensare che il trend di crescita dei prodotti “smart” andrà avanti negli anni a venire.

Non c’è una chiara definizione
Forse, a generare confusione tra gli investitori, c’è anche il fatto che non esiste una definizione univoca di questi prodotti. Con il termine inglese smart beta si indicano tutti quei prodotti che replicano indici che in qualche modo superano la tradizionale composizione basata sulla capitalizzazione di mercato. Sono prodotti che, con differenze anche sensibili a seconda della sofisticazione del loro funzionamento, si collocano in mezzo ai prodotti puramente passivi da una parte e puramente attivi dall’altra.

Diverse forme
Nel cercare di superare la ponderazione basata sulla capitalizzazione di mercato (capital weighted), sono nati diversi tipi di indici, tutti facenti parti della famiglia smart beta. Ecco i principali.

Equal weighted: in questi indici tutti i titoli hanno lo stesso peso. In questo modo si diminuisce la volatilità, ma si aumentano i costi di transizione, visto che hanno bisogno di un ribilanciamento continuo.

Minimum Variance: questi indici mirano ad ottimizzare il portafoglio in termini di varianza (un parametro che misura la volatilità di un titolo), e si basano su dati storici relativi alla volatilità dei titoli e alla correlazione tra loro. Questo è un metodo particolarmente indicato per chi vuole coprirsi dai ribassi di mercato, magari rinunciando a inseguire i rialzi.

Fundamental weighted: indici che utilizzano misure finanziarie indipendenti dal prezzo di Borsa, come ad esempio il book value, il cash flow, gli utili.

Dividend weighted: questi benchmark selezionano i titoli esclusivamente in base alla politica di stacco dei dividendi.

Enhanced futures strategy: indici dedicati molto spesso alle materie prime, che si basano sull’utilizzo di opzioni per minimizzare l’effetto rolling, tipico degli Etp sintetici che devono sostituire periodicamente i contratti future, che può portare a differenze sostanziali tra la performance del prodotto e quella dell’indice.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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