Pensioni Usa, lavori in corso

Viaggio nel sistema previdenziale americano, aspettando la riforma Obama.

Valerio Baselli 03/03/2009 | 15:18
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La copertura previdenziale è una delle più importanti e fondamentali conquiste del welfare occidentale. Negli ultimi dieci anni il sistema pensionistico è stato oggetto di profonde riforme in quasi tutti i Paesi industrializzati, le quali hanno contribuito a cambiare le prospettive dei lavoratori. I due modelli che usualmente si confrontano sono quello europeo (tradizionalemte italiano, francese e tedesco) e quello anglosassone (americano/britannico). In verità, entrambi i modelli stanno vivendo importanti trasformazioni.

Il sistema previdenziale pubblico Usa, la Social security, fu instaurato dal presidente Franklin D. Roosevelt negli anni 30 a seguito della crisi del 1929, in ottemperanza alla clausola della Costituzione che vincola a perseguire il General welfare (il be

ne comune). La Social security opera col meccanismo della ripartizione, ma, contrariamente a quanto accade in molti altri Paesi industrializzati, è in attivo. Essa viene gestita attraverso il Social security trust fund, che raccoglie i contributi ed eroga i benefici; le attività vengono investite nella loro quasi totalità in obbligazioni emesse dal Tesoro, non negoziabili sul mercato, di rischio e rendimento modesti. In un’economia così esposta ai debiti e ai deficit, il sistema previdenziale rappresenta un raro caso di completa solvibilità, anche se, secondo le stime dello stesso governo americano, il fondo comincerà a decrescere dal 2027, per diventare negativo poi nel 2041. Perciò è nato anche oltreoceano un ampio dibattito circa la possibilità di riformare il sistema previdenziale per garantire la solvibilità nel lungo periodo.

Cerchiamo però di capire quale scenario si apre dal punto di vista di un lavoratore Usa. La Social Security è sicuramente una realtà importante, ma da sola non basta a garantire un futuro economicamente stabile. Infatti, come spiega Michele Gambera, capo economista di Ibbotson Associates (gruppo Morningstar), l’importo massimo che può raggiungere è di 35 mila dollari annui, cifra non sufficiente a far dormire sonni tranquilli ai lavoratori americani. Per questo, negli Stati Uniti, la previdenza integrativa rappresenta uno strumento essenziale e imprescindibile (almeno in teoria). In realtà, allo stato attuale, solo il 48% dei lavoratori dipendenti privati statunitensi ha una qualche forma di previdenza integrativa. Oggigiorno questo 48% si trova a scegliere tra due alternative: la prima è rappresentata dai cosidetti “Benefit plans”, schemi pensionistici aziendali gestiti direttamente dall’impresa, le cui passività e attività finiscono quindi nello stato patrimoniale dell’azienda, creando non poche conseguenze. La seconda, invece, chiamata “Defined contribution”, che sta prendendo sempre più piede, si basa su fondi privati gestiti da un consulente scelto dal datore di lavoro ma esterno all’azienda. Sono fondi, quindi, “sponsorizzati” dall’impresa, a cui il lavoratore può decidere di aderire o meno, e anche in che misura. I contributi versati sono fiscalmente deducibili, fino ad un massimo di 15 mila dollari annui.

Le imprese stanno abbandonando la prima alternativa, evitando così la gestione attiva dei fondi pensione; il grosso problema presente in questo meccanismo, però, è che gli imprenditori hanno di fatto passato l’intero rischio finanziario sui dipendenti. Infatti, i sottoscrittori dei fondi “sponsorizzati” (i più famosi sono il 401(k) e il 403(b)) non hanno nessuna certezza di ricevere un giorno la pensione. Essi corrono il doppio rischio del fallimento della propria azienda e dei crolli di Borsa. I lavoratori non hanno nessun controllo sul management del fondo e spesso accade che siano tenuti allo scuro degli investimenti fatti. Essi possono scegliere come investire i propri risparmi in un numero limitato di fondi che generalmente sono gli stessi fondi comuni disponibili presso banche e società di gestione. Alcune imprese contribuiscono in denaro a tali fondi per incoraggiare i dipendenti a partecipare, mentre altre danno azioni proprie. Queste ultime sono un investimento rischioso per i dipendenti, che in caso di fallimento dell’impresa perdono sia il lavoro che il denaro investito in azioni proprie. Il tristemente famoso caso Enron (migliaia di lavoratori senza pensione) conferma la pericolosità potenziale di questo schema.

Il vero punto debole di questo sistema sembra essere la totale mancanza di concorrenza. I lavoratori, di fatto, non hanno valide alternative al fondo sponsorizzato; possono infatti scegliere solo tra i fondi approvati dal datore di lavoro. Anche per questo, probabilmente, più del 50% dei lavoratori privati non li sottoscrive, optando per una polizza assicurativa privata o, in molti casi, rinunciando in toto alla previdenza integrativa. I tempi sono maturi per eventuali cambiamenti strutturali, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del presidente democratico Usa Barack Obama secondo cui “il rilancio dell’economia passa per la riforma delle pensioni e della sanità”.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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