Oltre la muraglia con gli Etf

La Cina rinnova i vertici politici e si prepara alle prossime sfide economiche: meno investimenti fissi dello Stato e più consumi interni. Replicanti, occhio agli indici.

Valerio Baselli 03/12/2012 | 16:36
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Si è da poco concluso il 18° congresso nazionale del partito comunista cinese a Pechino, in cui quasi 3 mila delegati sono stati chiamati a nominare i sette funzionari che da marzo 2013 formeranno il nuovo Politburo, ovvero il nuovo governo. In un anno dove i casi di corruzione e gli abusi di potere del partito sono stati messi alla luce del sole, Xi Jinping prende il posto di Hu Jintao al comando della seconda potenza economica del mondo, per i prossimi dieci anni.

Xi Jinping, 59 anni, è stato al centro dell’attenzione mediatica negli ultimi mesi, anche a causa della sua particolare storia. Figlio di un eroe rivoluzionario che combattè al fianco di Mao Tse-tung, (espulso dal partito nel 1960 e riammesso nel 1980) fu uno dei protagonisti della prime riforme di mercato in Cina. Lo stesso Xi Jinping, durante l’espulsione del padre, fu costretto (come molti giovani cinesi) ai lavori forzati in campagna per la “rieducazione”, dove passò sette anni. Oggi, il futuro premier è sposato con una cantante molto popolare in Cina e sua figlia studia ad Harvard, alcuni dicono sotto falso nome.

Meno Stato, più mercato
Il pericolo di un hard landing (cioè di una brusca frenata della produzione) sembra ormai scampato per l’economia cinese. Tuttavia, sarà difficile ripetere la crescita a doppia cifra del passato, anche alla luce del nuovo modello di sviluppo che le autorità intendono implementare, rivolto maggiormente ai consumi interni e meno alle esportazioni. Secondo l’agenzia di rating Fitch, tra il 2012 e il 2014, la Cina dovrebbe registrare tassi di crescita annui compresi tra il 7 e l’8%. Questi numeri sono condivisi anche dal Fondo monetario internazionale.

Ma forse la più grande sfida per Xi Jinping, sarà quella di riuscire a conciliare un sistema leninista di governo con i bisogni del libero mercato. Infatti, nonostante negli ultimi anni interi strati della popolazione siano passati dalla povertà al benessere, anche grazie a riforme più liberali da parte del governo, la Cina non si può ancora indicare come un vero libero mercato. Anche per questo sembra importante una virata verso un sistema che spinga i consumi interni e che diminuisca gli investimenti fissi. La maggior parte degli economisti sostiene che il Dragone potrà continuare a crescere solo se si affiderà maggiormente alle imprese private, ridimensionando quindi il potere delle aziende pubbliche, favorendo così la creazione di posti di lavoro.   

Tuttavia, secondo molti osservatori, è improbabile che la Cina subisca cambiamenti improvvisi. Il processo politico cinese è per tradizione più impostato al compromesso che alle virate decise. Perciò, ci si aspetta che, almeno nel breve periodo, i nuovi vertici proseguano la linea dei predecessori.

Azionario in spolvero
In attesa del nuovo governo, comunque, gli investitori hanno vissuto un deciso ritorno di fiamma con il mercato cinese, come dimostrano i 2,8 miliardi di dollari in entrata a livello globale sugli Etf dedicati al Celeste impero nei primi nove mesi del 2012 (dati BlackRock). Una mossa che ha portato i suoi frutti, visto che l’indice Msci della regione è balzato del 16,8% da inizio anno (in euro, al 30 novembre).

A Piazza Affari sono quotati nove Etf che permettono di entrare nella grande muraglia. Attenzione però, avendo a disposizione ben otto indici differenti, le performance variano notevolmente (vedi tabella).

 

Etf dedicati al mercato cinese quotati su Borsa Italiana per rendimento da inizio anno

Dati in euro al 30 novembre al lordo dell’imposta sul Capital gain
Fonte: Morningstar Direct

 

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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