La Cina delle città fantasma

Negli ultimi anni, il paese ha fatto grandi investimenti in opere pubbliche e immobili. Forse in modo eccessivo. Ora è il momento di cambiare rotta.

Valerio Baselli 11/06/2012 | 15:15
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Grazie ad una crescita senza pari, la Cina si è guadagnata un posto tra le principali potenze economiche mondiali. Infatti,  negli ultimi dieci anni il Dragone ha visto il proprio Prodotto interno lordo crescere tra il 9 e il 14% ogni anno. Tuttavia, è davvero improbabile che il paese sia in grado di sostenere tale crescita per sempre. Oggi, sono molti a credere che la Cina si trovi all’inizio di una flessione economica.

Tradizionalmente, in un contesto di stagnazione globale, le economie orientate alle esportazioni, soffrono più delle altre. Per attutire il colpo, le autorità cinesi hanno puntato molto sugli investimenti in infrastrutture, ma sembra che anche questa strada sia arrivata al capolinea. Con l’entrata in vigore del dodicesimo piano quinquennale sull’economia, è ufficialmente in corso il passaggio della Cina da un’economia orientata alle esportazioni ad un’economia orientata ai consumi interni. Più facile a dirsi, che a farsi.

Un boom non sempre necessario
Negli ultimi anni, la crescita infrastrutturale cinese è stata impressionante, ma spesso poco sensata. È stata costruita una rete autostradale e ferroviaria che non ha nulla da invidiare a quella statunitense. Sono stati innalzati migliaia di palazzi, appartamenti, negozi e centri commerciali di alta fascia, in vendita a prezzi non accessibili alla grande maggioranza dei cinesi. Il risultato è stato la nascita delle cosiddette “città fantasma”; nuove, moderne e disabitate. L’offerta di infrastrutture non può continuare, in assenza di domanda. Il problema è che il riequilibrarsi tra gli investimenti e i consumi nella formazione del Pil, non avverrà grazie ad un innalzamento di quest’ultimi, ma ad una diminuzione dei primi.

Come spiegato nello studio China’s Unsustainable Investment Boom (per approfondire clicca qui), a cura dell’analista di Morningstar, Daniel Rohr, in Cina gli investimenti in capitale fisico (ovvero in infrastrutture) hanno raggiunto nel 2010 il 50% del Pil totale, contro il 35% del 2000. Chiaramente, questa tendenza ha ridotto fortemente il peso dei consumi interni nella formazione del Pil. La situazione, però, sta cambiando. Rohr sottolinea anche che, tra il 2011 e il 2010, la produzione interna di cemento e di acciaio, i due principali materiali per costruire, è crollata del 50%.

Il passaggio verso un’economia di consumi non sarà indolore. “La crescita della Cina ha richiesto l’utilizzo di enormi quantità di materie prime e non si tratta solo di costruzioni. Il popolo cinese è il più numeroso del mondo; ciò significa che anche i prodotti alimentari e la commodity energetiche hanno cavalcato il trend di crescita della Terra di mezzo”, commenta Abraham Bailin, analista di Morningstar, in una recente nota. “La differenza è che le materie prime necesserie per nutrire la popolazione saranno molto meno influenzate dal declino degli investimenti infrastrutturali”.

Se Pechino piange, Sidney e Brasilia non ridono
Non si può dire lo stesso per altre categorie di commodity. La frenata del ciclo economico cinese sarà accompagnata dalla diminuzione della domanda mondiale dei metalli industriali, in particolare rame e acciaio potrebbero subire un forte contraccolpo. “E gli effetti si sentiranno soprattutto fuori dalla Cina, a partire dal Brasile e dall’Australia”, prosegue Bailin. “Infatti, Pechino è da tempo il primo consumatore mondiale di metalli di base. I più grandi produttori al mondo di minerali ferrori sono Rio Tinto, azienda brasiliana, e BHP Billiton, australiana”. 

A Piazza Affari
Gli strumenti più utilizzati per investire sulle materie prime sono gli Exchange traded commodity (Etc). Ad oggi, su Borsa Italiana, sono quotati Etc che permettono di esporsi a molteplici materie prime, compresi i metalli preziosi e le commodity agricole, dette soft commodity. L’offerta varia dagli Etc singoli, dedicati ad una sola materia prima (Etfs Copper, Etfs Aluminium, Etfs Wheat, Etfs Soybeans, ecc), ai replicanti di indici di materie prime, come l’ Etfs Industrial Metals Dj-Ubsci, il Db Industrial Metals Booster Euro Hedged, l’Etfs Agriculture Dj-Ubsci o l’Etfs Softs Dj-Ubsci.

Inoltre, l’offerta comprende anche gli Etc short sui metalli industriali e su soft commodity, ovvero quei replicanti che offrono l’inverso della performance replicata, scommettendo cioè sul ribasso. Essendo strumenti più complessi, sono adatti a posizioni tattiche o di copertura del portafoglio. Inoltre, bisogna sempre essere sicuri di conoscerne davvero il meccanismo di funzionamento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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