L'est Europa approfitta di Putin

Il primo ministro russo, in corsa per la presidenza, spinge l'economia del paese che fa da volano a tutta l'area.

Marco Caprotti 11/01/2012 | 12:11
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L’Europa dell’est inizia a sganciarsi dai vicini dell’ovest. L’indice Msci della regione emergente nell’ultimo mese (fino al 10 gennaio e calcolato in euro) ha guadagnato il 7,85% e sta cercando di riguadagnare terreno dopo il -20,7% segnato nel 2011. Se la performance dell’anno scorso era stata condizionata dalla crisi della parte più sviluppata del continente (che aveva fatto fuggire gli investimenti), a guidare gli acquisti oggi sono le prospettive di crescita della regione che continua ad avere come faro la Russia.

La locomotiva russa
La prima economia dell’area sta accelerando su diversi fronti anche grazie ai piani messi in campo dal primo ministro Vladimir Putin che, a marzo, cercherà di riconquistare la poltrona di presidente. I risultati, se gli ultimi dati del Ministero dell’economia sono corretti, non sono mancati. L’economia russa ha segnato un incremento tendenziale del 5,4% nel mese di novembre. Su base mensile è stata registrata una crescita dello 0,3%. Nei primi undici mesi dell’anno il Pil russo ha avuto un’espansione del 4,4%, che fa stimare per l’intero anno 2011 una crescita tra il 4,2% e il 4,5%. Per il 2012 il governo prevede un +3,7%. Cala intanto l’inflazione che, dicono le informazioni dell’Ufficio federale di statistica, dall’8,4% del 2010 è passata al 6%. Per la prima volta da giugno 2010, intanto, la Banca centrale del paese ha abbassato i tassi di interesse portandoli all’8%. Fra le motivazioni che hanno spinto alla manovra, l’istituto monetario ha citato le difficili condizioni dell’economia mondiale.

Più petrolio per Putin
Il balzo congiunturale di quest’anno è dovuto alla decisione del premier di aumentare l’estrazione di petrolio (la Russia è uno dei maggiori esportatori mondiali), per raggiungere i 10 milioni di barili al giorno. Un ritmo che, nelle intenzioni di Putin, dovrebbe essere tenuto per almeno un decennio, garantendo buoni flussi di denaro alle casse statali. I risultati si iniziano già a vedere. Nel 2011, secondo i dati del Ministero dell’energia, la produzione di oro nero del paese è cresciuta dell’1,25% rispetto all’anno precedente raggiungendo il massimo dalla fine dell’Unione sovietica.

Il prezzo della qualità Urals Crude (quella di riferimento per la Russia) l’anno scorso è salito del 40%, arrivando al 109,3 dollari al barile. La domanda di questo prodotto è aumentata dopo che la rivoluzione in Libia ha ridotto le esportazioni dallo stato africano e a seguito del terremoto in Giappone che ha danneggiato l’impianto nucleare di Fukushima spingendo molti paesi a riconsiderare l’utilizzo dell’energia atomica.

La crisi in Ungheria
Nel frattempo gli operatori studiano l’evolversi della situazione in Ungheria, dove il governo ha rafforzato il suo controllo sulla politica, sul sistema giudiziario, sui mezzi di comunicazione e sulla banca centrale del paese. Ma le nuove normative non sono state ben accolte e hanno scatenato proteste per le strade e aspre critiche sia da parte del Fondo monetario internazionale, sia da parte dell’Ue che minacciano di bloccare i finanziamenti. Il Primo ministro, Viktor Orbán, tra l’altro ora ha il diritto di nominare sette funzionari con ampi poteri. Quello che preoccupa di più l’Ue e l’Fmi è però il fatto che l’indipendenza della banca centrale ungherese potrebbe essere messa in pericolo se si aumentasse il numero dei membri dei suoi comitati. Questi cambiamenti potrebbero portare a una riduzione dell’influenza del governatore della banca centrale. Inoltre il governo ungherese ha chiuso i siti di comunicazione e il canale di informazione liberale contrari al governo in carica.

Questi fattori, unitamente al malcontento per i cambiamenti alla costituzione, hanno spinto decine di migliaia di cittadini a dimostrare per le strade di Budapest. “Ciò accade in un momento in cui c’è un certo nervosismo sui mercati. Questo ha spinto gli investitori a vendere, facendo svalutare il fiorino ungherese e facendo salire i tassi di interesse sui titoli di stato”, spiega in una nota Marcus Svedberg, capo economista di East Capital. Mercoledì 4 gennaio il fiorino ungherese ha toccato un nuovo livello minimo rispetto all’euro, a quota 319,50, col rendimento dei titoli di stato a dieci anni al 10,87%, il minimo dalla primavera 2009. Nonostante tutte queste problematiche, c’è una possibile soluzione per l’Ungheria, ovvero iniziare a collaborare con il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea. “L’Fmi potrebbe imporre delle condizioni rigorose per erogare prestiti al paese. Se l’Ungheria le accetterà, cosa che prima o poi dovrà fare, la situazione migliorerà,” dice Svedberg.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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