Sidney più al sicuro se la crescita è cinese

L’appetito asiatico per le materie prime minerarie ha consentito all’Austrialia di non risentire della crisi mondiale.

Christine St Anne, 06/12/2011 | 12:21
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L’Austrialia vanta una storia di crescita basata sul settore minerario. Essa ha infatti realizzato il suo primo boom economico nel 1850 grazie alla corsa all’oro. A migliaia arrivarono a Victoria e a New South Wales per approfittare delle miniere d’oro appena scoperte. Un altro boom avvenne 40 anni più tardi, con le nuove esplorazioni nell’Australia occidentale. Infine, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso nuovi giacimenti di petrolio e di gas furuno trovati a Bass Strait.

Oggi, vaste zone dell’Australia sono dedicate all’estrazione di minerali ferrosi e di carbone. Queste risorse sono già largamente esportate in Cina e altre nazioni asiatiche, le quali proseguono il loro cammino di crescita.

Il settore minerario conta per circa il 35% del Prodotto interno lordo australiano e le risorse estratte incidono anche sulle esportazioni. Anzi, è stata proprio la domanda cinese che ha aiutato l’Australia ad uscire dalla crisi finanziaria. Non a caso, l’Australia è uno dei pochi paesi sviluppati a non essere oggi schiacciata del debito o da un bilancio troppo in rosso, proprio grazie alla crescita tenuta a galla delle esportazioni verso la Cina.

Investire a Pechino attraverso le miniere australiane
Un approccio generalmente condiviso in Austrialia è che investire nelle società minerarie sia il miglior modo per esporsi alla crescita cinese e asiatica più in generale. Rio Tinto e BHP Billiton, grandi esportatori verso la Cina, sono tra i titoli più scambiati dagli investitori australiani.

Secondo Mark Taylor, responsabile materiali di base per l’Australasia di Morningstar, gli investitori possono esporsi alla crescita cinese anche investendo in società legate ai servizi minerari. “Ci sono grandi società minerarie con vendite verso la Cina in costante crescita in cui si può investire”, afferma Taylor. “Tuttavia, gli investitori possono scommettere sull’Asia anche attraverso le società di costruzioni e ingegneria che servono il settore minerario”. Tra di esse ci sono anche aziende chimiche, costruttori di ferrovie, strade, porti e fornitori di certificati.

“Indirettamente, anche gli operatori dei condotti e le utilities possono beneficiare della crescente domanda per energia”, commenta Taylor. L’Australia è ben posizionata geograficamente per esportare commodity in Asia. In più, è un paese stabile politicamente e democratico, oltre ad avere una solida base economica e un sistema legale occidentale. “Quindi, investire in Australia presenta anche un’esposizone verso la crescita asiatica, ma con una gestione del rischio migliore”, afferma Taylor.

Puntare anche sui consumi asiatici
Secondo l’amministratore delegato dell’Australian Unity Investment, David Bryant, gli investitori australiani potranno solo beneficiare della crescita asiatica.

In Cina, il governo è impegnato a favorire il passaggio da un’economia orientata alle esportazioni a una basata sulla domanda interna. L’obiettivo, indicato nell’ultimo piano quinquiennale, è che i consumi rappresentino una quota del 70% del Pil invece dell’attuale 40%.

La Cina è il motore dell’Australasia
Bryant (basato a Melbourne) viaggia spesso in Cina e in Asia ed è sempre sorpreso dalla velocità della crescita economica. “Il ruolo della Cina nello sviluppo asiatico, e anche australiano, deve essere considerato maggiormente”, spiega Bryant. Secondo lui, non bisogna guardare solo le grandi opere o la produzione manifatturiera, ma anche il forte potenziale per l’innovazione.

“Le statistiche suggeriscono che il 25% della popolazione cinese con il Quoziente intellettivo più elevato è numericamente superiore all’intera popolazione del Nord America”, afferma Bryant. “Visto che la Cina sta diventando una delle economie più forti al mondo, questo tipo di risorse intellettuali potrebbe essere il motore delle innovazioni future”.

Inoltre, c’è da notare come la Borsa australiana sia dominata da due settori: minerario e bancario. “Settori in forte crescita in Asia, come quello informatico, sanitario o dei consumi, non sono per nulla rappresentati nel listino australiano”, prosegue l’amministratore delegato dell’Australian Unity Investment.

L’Asia pesa un quarto nel Pil mondiale, eppure solo l’1% degli investimenti retail in Australia è allocato nell’azionario asiatico. “Questo, contro più del 20% dedicato alle azioni autraliane. Una forte discrepanza”, conclude Bryant.

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