La cura sbagliata per l'Europa che soffre

L'ultimo intervento delle banche centrali, dicono gli operatori, è solo un palliativo che non intacca i problemi veri della zona.

Marco Caprotti 01/12/2011 | 11:50
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L’intervento delle banche centrali è un’aspirina che non può guarire un malato grave. Non sono teneri gli operatori con la decisione degli istituti monetari di Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Giappone, Europa e Svizzera, di tagliare i tassi di interesse sulle operazioni di swap. L’obiettivo, riducendo di 50 punti base il costo di circolazione dei capitali, è quello di garantire una maggior liquidità del sistema finanziario. Questo, almeno nelle intenzioni, avrà positive ripercussioni non solo sul comparto bancario, che potrà reperire nuove risorse a tassi più bassi, ma anche sul settore privato, in quanto famiglie ed imprese potranno ottenere prestiti ad un costo più basso.

La mossa inutile delle banche centrali
“Questo modo di agire non attacca i punti fondamentali della crisi che sono la spesa fiscale incontrollata e il livello raggiunto dai debiti sovrani”, dice senza mezzi termini Robert Rodriguez, amministratore delegato di First Pacific Advisor. “A guidare questo gioco sono le economie meno competitive dell’area, mentre l’Europa in generale non ha mostrato ancora di saper affrontare questi problemi. Senza contare che aiutare i paesi più deboli e le loro istituzioni finanziarie alla fine costerà migliaia di miliardi di euro”. Un ulteriore elemento di incertezza riguarda quello che le banche centrali in generale – e quella europea in particolare - possono o non possono fare. “Per i mercati finanziari globali il Natale arriverebbe subito se solo la Bce si impegnasse ad acquistare illimitatamente i titoli dei paesi periferici”, spiega Stuart Thomson, capo economista di Ignis Asset Management e cogestore del fondo Absolute Return Government Bond. “Questo risolverebbe immediatamente i problemi di liquidità e allenterebbe la pressione sui governi periferici, favorendo il risanamento dei bilanci e dolorose ristrutturazioni delle economie coinvolte. Purtroppo, però questa non è una semplice crisi di liquidità ma di solvibilità e la Bce non ha il mandato per finanziare senza limiti i governi insolventi”.

Nel frattempo dal fronte macro sono arrivate brutte notizie. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nel suo outlook ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita della ricchezza dei paesi europei. In Italia il Pil salirà nel 2011 dello 0,7%, ma l’anno prossimo l'andamento dell'economia sarà negativo (-0,5%). Le precedenti stime dell'organizzazione prevedevano un +1,1% nel 2011 e +1,6% nel 2012. Il segno più tornerà, secondo l'Ocse, nel 2013, con un Pil in aumento dello 0,5%. In recessione ci saranno anche Grecia (-3% dopo il -6,1% del 2011), Portogallo (-3,2% dopo il -1,6% del 2011) e Ungheria (-0,6%; +1,5% nel 2011). Meglio dell’Italia con un incremento limitato allo 0,3%, Francia e Spagna, mentre il Regno Unito crescerà di mezzo punto percentuale.

I mercati restano deboli
Il quadro dei mercati, intanto, continua a rimanere sconfortante. La settimana scorsa i principali indici azionari si sono spinti verso i livelli minimi toccati a settembre. L’Eurostoxx50 ha perso più del 5% mentre i principali indici americani hanno fatto segnare perdite superiori al 4,5%. Particolarmente penalizzato il settore bancario con perdite in Europa del 7,7%. Ma alla discesa dei mercati equity non è seguito un flight to quality. A livello europeo, ad esempio, oltre alla vendita dei bond dei Paesi indebitati si è assistito anche alla caduta delle obbligazioni tedesche, spinte al ribasso dai risultati della più recente asta di debito pubblico: i tassi estremamente bassi hanno fatto sì che la domanda sul mercato primario scendesse ai minimi storici.

Dal punto di vista strategico, il consiglio che arriva dagli operatori è quello di guardare cosa succederà negli Stati Uniti. Anche perché le buone notizie che potrebbero dare un po’ di ossigeno alle piazze finanziarie possono arrivare solo da quella parte dell’Atlantico. “Il Pil del quarto trimestre potrebbe essere del 3% o anche superiore grazie a un miglioramento del mercato del lavoro, a maggiori investimenti e a una salita dei profitti”, spiega una nota firmata da Bob Doll responsabile della strategia azionaria per BalckRock. “Un’accelerazione dell’economia potrebbe creare una base solida per le azioni, anche se probabilmente i mercati resteranno concentrati sulle notizie di breve termine”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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