Un futuro rinnovabile

Il disastro giapponese ha rimesso in discussione il nucleare. Ora si guarda all’energia pulita. Intanto, schizza il gas naturale.

Valerio Baselli 21/04/2011 | 09:18
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Il settore energetico è al centro dell’attenzione. La tragedia che ha colpito il Giappone l’11 marzo scorso, e in particolare il disastro della centrale nucleare di Fukushima, ha lasciato un segno profondo. Una cicatrice indelebile nel popolo giapponese, ma anche una paura concreta nel resto del pianeta. Le ultime notizie parlano di una radioattività dell’acqua di Fukushima superiore di 7,5 milioni di volte alla soglia di pericolo. Tutto ciò ha creato dei forti dubbi e incertezze sull’energia nucleare nell’opinione pubblica. Non è infatti un caso se alcuni Paesi, come la Germania e l’Italia, abbiano congelato i progetti di sviluppo.

Cambio di rotta?
L’impatto a breve termine delle immagini e delle notizie che arrivano dal Sol levante si è manifestato sia sul piano energetico che sul piano politico. “Sul piano energetico, la necessità di rimpiazzare la capacità produttiva di quella centrale elettrica ha causato una domanda maggiore di gas naturale da parte del Giappone, facendo aumentare il prezzo di tale commodity”, spiega Luciano Diana, gestore del Pictet Clean Energy Fund. “Sul piano politico l’incidente ha messo in discussione i piani per lo sviluppo nucleare, principalmente in Europa, influenzando la posizione dei rispettivi governi nei confronti delle rinnovabili. L’unica area geografica in cui non si è registrato un dibattito importante in questo senso sono gli Stati Uniti”.

Thiemo Lang, gestore del fondo SAM Smart Energy, è convinto che il cambiamento sia stato profondo. “L’impatto mediatico della situazione giapponese ha incredibilmente modificato il sentiment nel nostro settore. All’improvviso abbiamo registrato un ritorno d’interesse molto forte nelle energie rinnovabili, supportato anche da flussi di liquidità in entrata notevoli”. Lang è molto ottimista anche nel medio-lungo termine. “La pressione dell’opinione pubblica in favore delle energie alternative avrà un forte impatto sulle decisioni dei governi. Nel tempo, vedremo una volontà politca sempre più orientata allo sviluppo delle fonti di energia pulite”.

Non tutti, però, sono del parere che le cose saranno così semplici e lineari. “In alcuni Paesi l’opinione pubblica è risultata molto sensibile al terremoto giapponese, ma in altre, come la Cina, pensiamo che l’impatto sarà molto limitato e con poche ripercussioni sul piano politico”, commenta Simon Webber, gestore del fondo Schroder ISF Global Climate Change. “Nel breve periodo non prevediamo grandi cambiamenti nei progetti energetici delle principali nazioni, al massimo qualche ritardo dovuto a maggiori controlli sulla sicurezza”.

A tutto gas
Comunque il progressivo abbandono del nucleare non si rifletterà per forza sulle energie pulite. “La principale conseguenza a corto raggio sarà un aumento della domanda per il gas naturale”, afferma Webber. Passerà molto tempo prima che le energie rinnovabili possano contare su una capacità tale da sostituire l’energia nucleare. Inoltre, il nucleare è stato progettato per fornire un carico base elettrico con emissioni di carbonio trascurabili. Perciò, le alternative principali, ad oggi, sono gas naturale e carbone. Con quest’ultimo, tuttavia, si generano il doppio di emissioni di carbonio rispetto al gas naturale. Dello stesso avviso Diana, che si aspetta un ampio utilizzo di gas naturale in particolare negli Stati asiatici.

I Paesi più verdi
Secondo una recente ricerca di The Pew Charitable Trusts, un’organizzazione indipendente che studia il mondo dell’energia, gli investimenti globali complessivi in tecnologie verdi hanno raggiunto 243 miliardi l’anno scorso. La Cina è il primo paese in termini di investimenti globali di energia pulita, con circa 54,4 miliardi di dollari nel 2010 (39% in più rispetto al 2009), staccando Gran Bretagna e Usa. Mentre la Germania ha segnato un aumento del 100%  in 41,2 miliardi di dollari di investimenti in tecnologie verdi, il Regno Unito ha mostrato il declino piú grande fra le nazioni G-20, scendendo dal quinto al tredicesimo posto. Scendono anche gli Stati Uniti che, dal primo posto nel 2008 in investimenti in fonti rinnovabili passano al terzo dello scorso anno con livelli di investimento di 34 miliardi. L’Italia, nel frattempo, con 13,9 miliardi di dollari è riuscita a mantenere saldi gli investimenti riuscendo a tenere ancora il primato europeo.

Incentivi italiani
A proposito di Italia, i tre gestori sono concordi nel ritenere gli incentivi italiani al solare troppo alti. “Non vogliamo investire in un’industria permanentemente sovvenzionata dallo Stato”, commenta Lang. “I costi sostenuti dai contribuenti sono troppo alti e pensiamo sia opportuno ridurre gradualmente gli incentivi, anche per evitare eventuali bolle”, prosegue Webber. “Il decreto recentemente approvato dal governo ha causato grossi danni alla credibilità del Paese agli occhi degli investitori istituzionali"” afferma Diana, “anche perchè non sono stati forniti dettagli sul proseguimento degli incentivi all’energia solare dopo il mese di giugno”. Proprio in questi giorni, comunque, dovrebbe venire presentato il Quarto conto energia, che risolverebbe la questione. Secondo le prime indiscrezioni, il nuovo sistema di incentivazioni prenderà spunto dal modello tedesco, prevedendo incentivi basati su scaglioni di investimento senza alcun tetto alla potenza installata.

*Questo articolo è stato pubblicato su Tuttofondi in data 16 aprile 2011

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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