A chi piace l'inflazione?

Con la ripresa mondiale crescono i prezzi al consumo, soprattutto nei Paesi emergenti. Meglio adattare la strategia.

Marco Caprotti 15/02/2011 | 16:34
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Alle prese con la crisi scatenata dai subprime prima e con quella del debito europeo poi, i mercati sembravano aver dimenticato l’inflazione. Questo elemento dell’economia è tornato prepotentemente all’attenzione degli investitori nelle ultime settimane con le manovre della Cina per controllare la crescita economica (+10% nel 2010) e con le nuove previsioni di crescita (migliorate) per l’economia mondiale e per i Paesi sviluppati in particolare. Gli investitori, da parte loro, iniziano a domandarsi quale strategia adottare.

L’inflazione non è tutta uguale
“Lentamente, insieme ai segnali di una ripresa mondiale che coinvolge anche le aree più sviluppate, sta ritornando la paura dell’inflazione”, conferma Jim O’Neill, presidente di Goldman Sachs Asset Management. “Gli ottimisti pensano che si tratti di un elemento che viene insieme alla crescita. Per i pessimisti è una nuova fonte di preoccupazione dopo la crisi”. Non tutta l’inflazione, sottolineano però gli operatori, è uguale. Una significativa parte dell’aumento dei prezzi al consumo in Cina, India e, più in generale nei mercati emergenti, è dovuto a una crescita del valore del cibo. “In Cina il 75% dell’aumento dei prezzi registrato l’anno scorso è dovuto alla componente food”, spiega uno studio di Merrill Lynch Wealth Management. “Si tratta di un fenomeno che si registra, di solito, quando c’è un aumento dei salari”.

Il discorso è parzialmente diverso per i Paesi sviluppati, dove l’elemento alimentare non è quello predominante nella dinamica dei prezzi. “Negli Stati Uniti e nella zona Euro, per il momento, l’inflazione non sembra essere una minaccia, anche perché i salari sono tutto sommato stabili”, continua lo studio di Merrill Lynch. La situazione su questo fronte, tuttavia, potrebbe cambiare. Gli ultimi dati americani dicono che la disoccupazione è scesa dal 9,5% al 9%. Se la strada verso la stabilizzazione dovesse continuare, col tempo le buste paga diventeranno più pesanti.

Le paure delle aree più industrializzate in questo momento sono essenzialmente due. La prima è che la frenata controllata delle economie emergenti per diminuire l’inflazione si traduca in un rallentamento globale. La seconda, sottolineata peraltro nelle settimane scorse dal numero uno della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, è che ci possa essere una pressione sui prezzi dovuto alla corsa del petrolio.

Le scelte operative
Cosa implica tutto questo dal punto di vista operativo? “Io sono convinto che assisteremo a una ripresa degli Stati Uniti e, in generale, dell’economia globale”, risponde O’Neill di Goldman Sachs. “In uno scenario del genere le obbligazioni governative sono un asset pericoloso da avere in portafoglio, soprattutto se confrontate con le azioni”.

Sulla stessa lunghezza d’onda sono gli analisti di Merrill Lynch. “Noi continuano a essere ottimisti per quanto riguarda i mercati equity”, dice il report. “Specialmente quelli dei mercati sviluppati dove i tassi di crescita dell’economia continueranno ad essere maggiori dell’inflazione. Al contrario crediamo che la dinamica dei prezzi al consumo creerà dei problemi ai government bond visto che una maggiore inflazione porterà a più alti rendimenti e a un contestuale calo dei prezzi. Siamo cauti per quanto riguarda i mercati in via di sviluppo, che avranno un aumento sostenuto non solo del Pil, ma anche della dinamica inflattiva”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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