Il Dragone cambia pelle

Tutte le opportunità di una Cina da guinness. Puntare sui settori di nicchia, ma i rischi non mancano.

Valerio Baselli 15/11/2010 | 09:52
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Nel 2000 è toccato all’Italia. Poi è stata la volta della Germania nel 2007. Infine, a inizio 2010 la Cina ha superato anche il Giappone, diventando ufficialmente la seconda economia del mondo, dietro agli Stati Uniti. Almeno secondo le statistiche sul Prodotto interno lordo calcolato in dollari dal Fondo monetario internazionale. I numeri sono impressionanti: dal 1978 la Cina registra una crescita media del Pil del 9,5% e, secondo una serie di previsioni della Banca Mondiale, potrebbe superare gli Usa e diventare la prima economia mondiale nel 2025. Tra il 1980 e oggi, il peso di Pechino sul Pil del mondo è passato da poco meno del 2% al oltre il 9%. E salirà ancora, visto che lo stesso Fmi ha previsto che peserà il 12% nel 2015. Davanti ad una crescita del genere ci si potrebbe attendere una flessione, ma si sarebbe fuori strada. Lo sviluppo dell’Impero Celeste è appena all’inizio.

La nuova faccia cinese
La Cina ha subito trasformazioni radicali negli ultimi quindici anni, sotto diversi aspetti. “Uno dei più vivi ricordi che ho del mio primo viaggio a Pechino nel 1995 è l’oscurità che prevaleva nelle strade e negli appartamenti”, afferma Fabrice Jacob, co-fondatore e direttore esecutivo di JK Capital Management. “Non c’erano negozi in cui andare, eccetto alcuni Friendship Stores (una specie di grande magazzino posseduto dal governo aperto solo per ufficiali governativi, turisti e diplomatici;ndr) i cui dipendenti indossavano ridicole uniformi e non offrivano assolutamente niente di interessante”, prosegue Jacob, che vive in Cina da sedici anni. “Ricordo anche che la gente sorrideva raramente e che tutti indossavano tute militari di colore verde o grigio scuro che sicuramente non erano mai passate nelle mani di fashion designers. Considerando che quegli stessi posti oggi sono molto simili a quello che si potrebbe trovare a Londra, New York o Milano, la trasformazione in corso è sconvolgente”.

Il boom economico ha quindi determinato un cambiamento radicale anche nello stile di vita. “Il sostenuto trend di crescita della Cina ha favorito l’accumulazione di ricchezza come testimoniato dal livello delle riserve statali e dall’espansione della classe media”, commenta Martha Wang, gestore di portafoglio del fondo FF China Focus Fund. Certo, non è tutto rose e fiori. “Nonostante il maggiore benenessere, esiste ancora un ampio divario tra le classi sociali sia a livello geografico che economico”, spiega Jing Ning, gestore del BGF China Fund.

Da produttore a consumatore
Uno dei cambiamenti più interessanti in corso riguarda la trasformazione dell’Impero di mezzo da Paese produttore a Paese consumatore. Infatti, “nel tentativo di garantire una crescita sostenibile, il governo cinese si è impegnato in un processo di trasformazione dell’economia che consiste nella sostituzione di un modello trainato dalle esportazioni con uno basato sui consumi interni”, commenta Martha Wang. E già questo basterebbe per attrarre investitori. “Il principale motivo per investire in Cina è che questo Paese vanta il maggior margine di incremento dei consumi al mondo grazie a una sostenuta crescita del reddito, al ridotto livello di indebitamento delle famiglie, a un’inflazione contenuta”, prosegue la Wang. Così, lo scenario di una crescita sempre più China-driven, sta diventando un punto fermo anche per le altre economie (comprese quelle occidentali), in cerca di mercati di sbocco per le proprie esportazioni; in particolare, a beneficiarne sono settori come quello del lusso e della moda.

Molte opportunità, ma i rischi sono dietro l’angolo
“Alcune delle migliori opportunità d’investimento sul mercato cinese risiedono nelle piccole aziende che operano nei settori di nicchia”, commenta Jing Ning. È quindi necessario allontarsi dall’indice Msci China, dominato dai finanziari e dalle telecomunicazioni. “Il mercato è guidato da grosse istituzioni e grandi fondi che tendono a focalizzarsi solo sulle azioni large-cap”, afferma Jacob. Come risultato un vasto numero di società non vengono considerate e restano pressochè sconosciute agli stranieri.

Tuttavia, i rischi non mancano. Il più evidente resta il rischio politico. “Attualmente il maggiore rischio presente in Cina è di politica economica in quanto è in corso un inasprimento delle politiche immobiliari e creditizie”, spiega Wang. Dal punto di vista micro, invece, il rischio maggiore riguarda la poco trasparenza sugli uomini d’affari. “Ci sono stati numerosi casi riguardanti la scomparsa di imprenditori o manager, dopo le quali vengono spesso scoperti furti o truffe a livello societario”, racconta Jacob. Tutto ciò sottolinea l’importanza di trasparenza sul background e sulla diligenza degli azionisti e dei manager di società quotate. Insomma, per Jacob “non è casuale se quasi sistematicamente l’uomo più ricco in Cina, nominato ogni anno dalla rivista Forbes, finisce in carcere l’anno successivo per frode o per corruzione”.

*Questo articolo è stato pubblicato su TuttoFondi in data 13 novembre 2010

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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