Cambia il volto dei fondi

In Italia, continuano le chiusure o fusioni tra comparti. Debuttano soprattutto obbligazionari. In Europa, il focus è sulle strategie alternative.

Sara Silano 07/10/2010 | 14:25
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In Italia continuano a chiudere più fondi di quelli che nascono, nella maggior parte dei casi vittime delle riorganizzazioni aziendali. Da inizio anno sono stati lanciati 38 prodotti contro oltre 40 che hanno chiuso.

L’ultima, in ordine di tempo, è stata Anima Sgr, nata dalla fusione tra la “vecchia” Anima e Bipiemme Gestioni, che ha tagliato il numero da 40 a 31. “La riduzione risponde all’obiettivo di semplificare la gamma derivante dalla somma delle due famiglie precedenti”, spiega il direttore generale, Pietro Cirenei. “Era necessario cancellare le evidenti sovrapposizioni di alcuni comparti”.

L’industria si restringe
In effetti, la ragione della fusione tra i fondi è spesso quella di evitare i doppioni, ma l’industria italiana deve anche fare i conti con i continui deflussi. Da inizio anno, secondo le statistiche di Assogestioni, la raccolta netta per l’industria italiana del risparmio è stata negativa per 12,8 miliardi di euro, proseguendo un trend al ribasso che dura da anni. Il patrimonio dei fondi domestici rappresenta il 46% del totale, lasciando agli esteri la quota più cospicua.

Gli asset, dunque, si assottigliano. Questo spinge le società a liquidare i fondi con masse che sono diventate troppo esigue. “Per i fondi azionari la dimensione ottimale di esercizio è tra 50 e 500 milioni”, spiega Cirenei, “per i fondi obbligazionari è tra 50 milioni e un miliardo di euro. Tuttavia, la dimensione ottimale dipende anche dal mercato di riferimento”.  Esaminando il patrimonio dei comparti domiciliati in Italia, emerge che il 50% degli azionari è sotto la soglia minima, mentre tra quelli obbligazionari lo è circa il 40%.

In difesa
E’ probabile, quindi, che il numero di fondi italiani continui a scendere, perché altrimenti verrebbero meno efficienza ed economie di scala. E’ anche vero che nei “tempi d’oro”, l’offerta era cresciuta molto, inseguendo spesso le mode passeggere. Negli ultimi anni, invece, le case di gestione sono state restie a lanciare nuovi prodotti. La direzione, in particolare, dall’inizio del 2010 è stata quella di inserire nella gamma comparti obbligazionari, garantiti o comunque difensivi, ossia quelli che hanno ricevuto il maggior numero di sottoscrizioni nello stesso periodo.

Le nuove frontiere
Passando dall’universo italiano a quello europeo, l’offerta di nuovi fondi appare più variegata. Prevalgono le strategie a ritorno assoluto, long/short e più in generale quelle mutuate dall’industria degli alternativi. Delle nuove frontiere, rese possibili dal quadro normativo introdotto dalla direttiva comunitaria Ucits III, si è parlato nel corso dell’Oyster Day, che si è tenuto nei giorni scorsi a Montreux. Da un lato è forte la spinta a ricercare strumenti che abbiano una scarsa correlazione con le classi di investimento tradizionali e a studiare processi che permettano di generare valore (il cosiddetto Alpha); dall’altra c’è l’esigenza di trovare soluzioni per chi ha una bassa tolleranza al rischio in un contesto che rimane volatile e con tassi di interesse ai minimi.

La storia recente delle nuove strategie non permette di valutarne l’efficacia, anche perché non sono paragonabili a quelle tradizionali in termini di rendimenti e caratteristiche di portafoglio. E’ ancora presto per dire se si tratti di un fenomeno passeggero (e come tale destinato a sgonfiarsi) oppure di un cambiamento strutturale nell’offerta di prodotti di risparmio gestito. Se da un lato, l’esperienza passata insegna che le “mode” lasciano strascichi pesanti; dall’altro i profondi cambiamenti che stanno attraversando i mercati finanziari richiedono l’esplorazione di nuove vie e l’evoluzione dell’offerta. Sempre imparando dal passato.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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