Il sistema finanziario è ancora malato

I mercati corrono, ma intanto salgono a 115 i fallimenti di banche Usa nel 2009.

Valerio Baselli 03/11/2009 | 14:39
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Lo scorso weekend sono falliti altri nove istituti di credito statunitensi. Dal primo gennaio ad oggi sono 115 le banche che hanno chiuso negli Stati Uniti. Un numero impressionante, il più alto dal 1992, quando ne collassarono 181 in dodici mesi. Ma non finisce qui; il problema più grosso è che gli analisti ritengono che l’emorragia sia destinata a prolungarsi, perchè molte banche regionali sono fortemente esposte al mercato immobiliare ad uso commerciale, il cui declino è tutt’altro che vicino al termine.

Infatti, il Washington Post parla di dozzine, se non centinaia, di altre banche che rimangono aperte nonostante si trovino in situazioni di estrema emergenza. L’unica soluzione sembra essere un recupero dell’economia reale, ma se la crescita sarà lenta come sembra le ban

che più piccole potrebbero trovarsi in una situazione ancora peggiore.

L’emergenza non interessa solo le banche di piccole dimensioni. Una delle nove fallite la settimana scorsa è la California National Bank, quarto maggior collasso bancario dell’anno. Un altro pesante colpo basso arriva dalla richiesta, da parte di Cit Group, della bancarotta pilotata. Essa rappresenta il quinto maggior fallimento nell’intera storia del Nuovo continente.

La bancarotta di Cit Group, oberato da debiti per 65 miliardi di dollari a fronte 71 miliardi di asset, era nell’aria da tempo e la Casa Bianca aveva usato tutta la sua influenza per cercare di evitare il fallimento di quello che è considerato un attore di primo piano del mercato del credito. Questo rappresenta il primo grande fallimento dell’amministrazione Obama. Infatti, il Dipartimento del Tesoro guidato da Timothy Geithner, ha investito 2,3 miliardi di dollari dei contribuenti nella società nel tentativo di stabilizzarla. Dallo scorso anno il Tesoro ha sborsato 400 miliardi di dollari per diverse aziende americane in tutti i settori di attività: molte società, come Goldman Sachs, hanno già provveduto a restituire i fondi ottenuti.

La situazione finanziaria degli Stati Uniti, quindi, è lontana dalla stabilizzazione. La ripresa avviata negli ultimi mesi, come commenta anche Bill Gross di Pimco nel suo ultimo Investment Outlook, è stata in gran parte finanziata da investimenti statali e dall’enorme massa di liquidità immessa dalle banche centrali che stanno contribuendo a mantenere in moto i meccanismi dell’economia ma il motore dei consumi privati, per il momento, non sembra aver ingranato. E questo vale per la maggior parte delle economie sviluppate.

Anche un recente studio pubblicato dalla BIS (Bank for international settlements) conferma la poca efficacia dei piani di salvataggio degli istituti di credito. L’analisi conclude che fino ad ora i piani di aiuto non sono riusciti a generare un qualche percepibile miglioramento dell’offerta del credito bancario all’economia (che, infatti, continua a peggiorare negli Usa, in Gran Bretagna e in Europa). Inoltre, i piani di garanzia stessi hanno creato un notevole rischio di rifinanziamento per gli anni dal 2010 al 2012.

Questo perchè, come suggeriscono i dati, i piani di garanzia stanno aiutando le grandi e complesse banche d’investimento, piuttosto che le banche che con maggiore probabilità presterebbero capitali alle proprie economie locali. I sussidi non stanno, quindi, raggiungendo i beneficiari che si erano preposti.

Insomma, quello che appare certo è che, a prescindere dal rally che ha vissuto il mercato azionario, si potrà parlare di ripresa quando il sistema creditizio tornerà a funzionare a pieno regime, i privati aumenteranno i consumi e quando la ripresà sarà in grado di creare posti di lavoro.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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