Tutti gli esperti di mercati finanziari considerano i bond una componente fondamentale nell’asset allocation del portafoglio. Ma perché conviene inserirli anche quando hanno rendimenti inferiori alle stock? Quale la giusta percentuale della componente obbligazionaria? Meglio le emissioni governative o quelle corporate? Singoli bond o fondi obbligazionari? E tra i fondi attivi e quelli passivi cosa scegliere?
Prima di rispondere a queste domande conviene fare una piccola introduzione su alcuni classici equivoci. Il primo è legato al rapporto prezzo/rendimento. Quando salgono le valutazioni delle obbligazioni scende il loro rendimento (e viceversa). Questo può sembrare contro intuitivo, ma la ragione sta nel fatto che un investitore che vuole minimizzare il rischio di non recuperare il capitale iniziale sarà disposto ad accettare rendimenti più bassi, se invece la probabilità che l’emittente non sia in grado di restituire il prestito è alto allora l’investitore sarà disposto a comprarlo a patto di pagare un prezzo più basso e ricevere uno yield più generoso.
Il secondo è relativo al rapporto con il ciclo economico. Diversamente da quanto avviene per i titoli azionari, infatti, il prezzo delle obbligazioni va generalmente in controtendenza con l’andamento dell’economia. Se il Pil di un paese è in contrazione, ad esempio, l’andamento della sua Borsa sarà negativo mentre il prezzo dei bond tenderà a salire. Questo perché quando sale l’incertezza sui mercati azionari, aumenta la domanda di asset meno volatili come i bond a basso rischio, dunque il prezzo. La controciclicità di questo asset è una delle ragioni per cui conviene inserirlo in portafoglio, poiché in questo modo si aumenta il grado di diversificazione dei nostri investimenti e si limitano gli alti e bassi nelle performance. Un’altra motivazione è rappresentata dalla componente di reddito fisso rappresentata dagli interessi offerti dal bond che permettono di compensare eventuali perdite sul capitale nel caso di contrazione del prezzo.
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