L’importanza della manutenzione del portafoglio

Una buona asset allocation non basta. L’allocazione ottimale cambia nel tempo, assieme ai bisogni e agli obiettivi finanziari. Il periodico ribilanciamento dei propri attivi è quindi fondamentale. Ecco cinque consigli pratici su come approcciarlo.

Valerio Baselli 25/10/2018 | 09:26
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Comprare un’ottima automobile e non manutenerla, sarebbe un peccato. Lo stesso approccio dovrebbe valere per un portafoglio finanziario. La costruzione di un portafoglio è un’attività complessa che passa per diverse tappe: l’analisi della propria situazione lavorativa e patrimoniale, il capire cosa si vuole ottenere, quanto risparmiare, scegliere l’asset allocation più adatta (cioè la ripartizione tra le varie classi di attivi) e, infine, individuare gli strumenti più adeguati. Insomma, un lavoro complicato che richiede competenze specifiche e che non a caso viene spesso delegato a dei professionisti.

E poi siamo a posto, giusto? Non proprio. Anzi, assolutamente no. I nostri investimenti dovrebbero evolvere nel tempo, proprio come facciamo noi stessi. Per riprendere l’esempio iniziale dell’automobile, se a vent’anni in molti sognano una macchina sportiva, magari una cabriolet, a quaranta si è molto più inclini ad acquistare una monovolume familiare. E anche la nostra sensibilità cambia. Se negli anni ’90 nessuno si preoccupava veramente delle emissioni inquinanti della propria auto, oggi un numero crescente di persone sceglie modelli ecologici (proprio come il concetto di sostenibilità diventa sempre più importante nei nostri investimenti).

Ecco perché una periodica “manutenzione” delle proprie attività finanziarie dovrebbe essere qualcosa di naturale. Ma attenzione, a dirla così sembra facile. Eppure, l’attività di monitoraggio e di eventuale ribilanciamento non è così scontata. Ci sono di solito due scuole di pensiero sui ribilanciamenti: farli periodicamente, ad esempio a fine anno, oppure solo quando ci si accorge che l’asset allocation che si ha è molto distante da quella che si vorrebbe, magari a causa di un crollo o di un rally di mercato. Forse, la soluzione sta nel mezzo: rivedere il proprio portafoglio almeno una volta all’anno, ma ribilanciarlo solo nel caso in cui sia davvero lontano dalla composizione desiderata. In questo modo, si minimizzano i costi di transazione.

Ecco cinque semplici passi che possono aiutare nell’effettuare un controllo periodico.

Cosa si vuole
Il primo passo da compiere è avere bene in testa quali siano gli obiettivi di investimento, che come abbiamo detto vanno di pari passo con l’età (e quindi con il proprio orizzonte temporale) e la propensione al rischio. In sostanza, questo vuol dire sapere quale percentuale dei propri risparmi dedicare ad azioni, obbligazioni, liquidità ed eventualmente altre tipologie di investimento come ad esempio le materie prime.

Cosa si ha
Una volta deciso cosa si vuole, occorre vedere cosa si ha. Attenzione, non è così scontato come potrebbe apparire, soprattutto perché la maggior parte dei fondi non sono puri azionari o obbligazionari. Non è raro trovare fondi azionari, ad esempio, che detengano anche una parte di liquidità. Questo dipende dalle condizioni del mercato; in alcuni momenti, infatti, i gestori possono aumentare o diminuire la propria allocazione in liquidità. Per sapere esattamente cosa si ha in portafoglio, ci sono strumenti appositi (ad esempio l’X-Ray di Morningstar).

Simulare il ribilanciamento
Se si ha in tasca quello che si vorrebbe in termini di asset class, settori e regioni, il lavoro è fatto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi saranno necessari alcuni cambiamenti. Prima di cambiare, comunque, è sempre meglio fare delle simulazioni per vedere quale sarebbe esattamente l’asset allocation che si avrebbe inserendo ad esempio un nuovo fondo, tenendo a mente come già detto che raramente i fondi sono puramente azionari o obbligazionari. Inoltre, prima di liquidare posizioni è bene anche domandarsi quali possano essere gli effetti fiscali del ribilanciamento.

Tenere in considerazione l’aspetto fiscale
Non tutti gli strumenti d’investimento vengono tassati alla stessa maniera e occorre prendere in considerazione anche questo aspetto per poter ottimizzare i rendimenti finali. Fondi comuni, Etf, Etc, fondi pensione, azioni e titoli di Stato hanno trattamenti fiscali differenti. Data la complessità della materia e i continui cambiamenti, chi fosse davvero interessato potrebbe magari chiedere delucidazioni a un esperto in materia, fiscalista o commercialista.

Avere sempre un benchmark di riferimento
Quello che conta in finanza è la performance relativa. Se si è guadagnato il 10%, ma tutti gli altri hanno intascato il 20%, non si può essere contenti. Dall’altro lato, se si è perso il 5%, a fronte di una discesa media del mercato del 10%, ci si può ritenere tutto sommato soddisfatti. Perciò, prima di esaltarsi o deprimersi, è importante assegnare al proprio portafoglio, o ai vari sottoinsiemi di esso, il benchmark più approppriato, in modo da essere sempre in grado di giudicare i risultati che si ottengono. Con il cambiare dell’asset allocation, quindi, muteranno anche gli indici di riferimento.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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