Comprare un’ottima automobile e non manutenerla, sarebbe un peccato. Lo stesso approccio dovrebbe valere per un portafoglio finanziario. La costruzione di un portafoglio è un’attività complessa che passa per diverse tappe: l’analisi della propria situazione lavorativa e patrimoniale, il capire cosa si vuole ottenere, quanto risparmiare, scegliere l’asset allocation più adatta (cioè la ripartizione tra le varie classi di attivi) e, infine, individuare gli strumenti più adeguati. Insomma, un lavoro complicato che richiede competenze specifiche e che non a caso viene spesso delegato a dei professionisti.
E poi siamo a posto, giusto? Non proprio. Anzi, assolutamente no. I nostri investimenti dovrebbero evolvere nel tempo, proprio come facciamo noi stessi. Per riprendere l’esempio iniziale dell’automobile, se a vent’anni in molti sognano una macchina sportiva, magari una cabriolet, a quaranta si è molto più inclini ad acquistare una monovolume familiare. E anche la nostra sensibilità cambia. Se negli anni ’90 nessuno si preoccupava veramente delle emissioni inquinanti della propria auto, oggi un numero crescente di persone sceglie modelli ecologici (proprio come il concetto di sostenibilità diventa sempre più importante nei nostri investimenti).
Ecco perché una periodica “manutenzione” delle proprie attività finanziarie dovrebbe essere qualcosa di naturale. Ma attenzione, a dirla così sembra facile. Eppure, l’attività di monitoraggio e di eventuale ribilanciamento non è così scontata. Ci sono di solito due scuole di pensiero sui ribilanciamenti: farli periodicamente, ad esempio a fine anno, oppure solo quando ci si accorge che l’asset allocation che si ha è molto distante da quella che si vorrebbe, magari a causa di un crollo o di un rally di mercato. Forse, la soluzione sta nel mezzo: rivedere il proprio portafoglio almeno una volta all’anno, ma ribilanciarlo solo nel caso in cui sia davvero lontano dalla composizione desiderata. In questo modo, si minimizzano i costi di transazione.
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