I mercati di frontiera non tengono il passo con il resto del mondo. Ma proprio questo, secondo gli analisti, è il loro maggior pregio, anche se si tratta di una qualità che va maneggiata con prudenza.
La categoria Morningstar dedicata ai fondi che investono nei frontier market in un mese (fino al 12 settembre e calcolata in euro) ha guadagnato lo 0,7%, portando a +3,5% la performance da inizio anno. Nelle ultime quattro settimane gli strumenti raccolti nelle categorie dedicate all’equity globale hanno guadagnato, in media, poco più dell’l’1,% (da gennaio si va dal +0,56% della Large cap value al +6,5% della Large cap growth). “Sui mercati di frontiera tendono a operare investitori locali al posto delle grandi istituzioni finanziarie”, spiega Manuela Badawy, analista di Monrningstar. “Non si muovono al ritmo delle altre Borse e sono condizionati da eventi locali. Ma proprio questa scarsa correlazione con le altre piazze finanziarie rende l’asset interessante per alcuni operatori”.
Occhio ai rischi
Non si tratta però di un asset per i deboli di cuore, visto il livello di rischio. “Molti dei paesi che fanno parte di questo gruppo dipendono dal petrolio e la debolezza del barile, lontano dai livelli record di qualche anno fa, in generale non sta aiutando”, dice l’analista. “Bisogna poi considerare la scarsa liquidità di questo investimento e quindi la difficoltà nel trovare compratori e venditori in mercati piccoli e dove i prezzi non sono molto stabili. Tutti elementi che pesano soprattutto quando la tolleranza al rischio, a livello globale, diminuisce”. Non va poi sottovalutata la questione valutaria. Alcuni paesi hanno un tasso di cambio legato ad altre divise o manipolato direttamente dalla Banche centrali locali. Questo non fa che aggiungere pressione sulla stabilità finanziaria di quei paesi”, dice Badawy.
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