E’ l’inflazione che piace alla Fed?

In Usa si parla sempre più seriamente di un aumento di prezzi al consumo. Resta da capire se è accompagnato da un miglioramento reale e sostenibile della congiuntura. Il mercato, intanto, potrebbe cominciare a pensare alle strategie di difesa. 

Marco Caprotti 25/10/2016 | 14:50
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Gli americani iniziano a sentire la sirena dell’inflazione. Resta da capire se si tratta del tipo di aumento del costo della vita (stabilmente intorno al 2%) di cui la Federal Reserve ha bisogno per alzare nuovamente i tassi di interesse (dopo la stretta di dicembre 2015) e, nel caso, come devono comportarsi gli investitori. Il primo aspetto è poco chiaro.

L’inflazione sale
Gli ultimi dati dicono che l’inflazione Usa su base annua è aumentata dell’1,5%, mentre nella precedente rilevazione aveva subito un aumento dell’1,1%. Anche gli analisti avevano previsto un’inflazione in aumento dell’1,5%. La stessa voce su base mensile è cresciuta dello 0,3%. La precedente rilevazione aveva fatto osservare un incremento dello 0,2% (la previsione era dello 0,3%).

L’indice dei principali prezzi al consumo su base annua, ha registrato poi una variazione del 2,2%, mentre nella precedente rilevazione aveva registrato un incremento del 2,3%. Gli analisti avevano previsto un aumento sempre pari a 2,3 punti percentuali. L’indice dei principali prezzi al consumo su base mensile è infine aumentato dello 0,1%, mentre il consensus era dello 0,2%.

L'INFLAZIONE IN USA DA INIZIO ANNO

inflazione

Fonte: US Bureau of Labor Statistics

Ipotesi stagflazione
Basta tutto questo per dire che l’economia americana sta viaggiando con il passo giusto? “Siamo in una situazione in cui l’inflazione cresce, ma il Pil si muove in una forchetta compresa fra l’1,5 e il 2%”, spiega Robert Johnson, responsabile della ricerca economica di Morningstar. “Tecnicamente questo è un quadro di stagflazione. L’aumento dei prezzi al consumo è dovuto principalmente alla stabilizzazione, con tendenze verso l’alto dei prezzi dell’energia”. Insomma, la crescita dell’inflazione potrebbe non essere più una prova sufficiente di un miglioramento della congiuntura nel suo complesso e, di conseguenza, non è detto che la Fed aggiusterà la sua politica monetaria solo in base a questo indicatore. Magari aspetterà di avere altre indicazioni di una vera ripresa. “Il governatore della Fed, Janet Yellen, ha dichiarato che sarebbe conveniente considerare i benefici di un'economia ad alta pressione”, spiega un report firmato da Peter Rosenstreich e Yann Quelenn, rispettivamente Head of Market Strategy e analista di Swissquote. “E questo è esattamente ciò di cui la Fed ha bisogno. Dal nostro punto di vista, infatti, è ormai chiaro che l'obiettivo di avere un'inflazione al 2% è riduttivo. La Banca centrale americana ha bisogno di poter contare su di un'inflazione molto più consistente per poter riuscire a disfarsi dell'enorme debito governativo. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui la Fed si è mostrata tanto riluttante a rialzare i tassi negli ultimi anni”.

Come gioca la difesa
Dal punto di vista operativo la questione va letta indossando un paio di occhiali diversi. “Gli investitori, in linea di massima, si concentrano sui dati dell’inflazione, mentre il rallentamento della congiuntura potrebbe diventare più evidente con i numeri macro dei prossimi due o tre mesi. Nel frattempo cercheranno il giusto scudo per difendersi dall’aumento del costo della vita: in situazioni del genere si muovono al rialzo gli asset legati all’incremento dei prezzi come le commodity e, in funzione difensiva, i metalli preziosi”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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