Addio all’equity

Sono sempre meno gli americani che investono in azioni Usa. Colpa delle crisi che hanno lasciato brutti ricordi. Così, però, i guadagni di Wall Street continuano a finire nelle tasche dei più ricchi. Ma non tutto è perduto. 

Marco Caprotti 13/05/2015 | 13:04
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Un caposaldo del capitalismo scricchiola. Agli americani, infatti, non piace più l’investimento azionario. Secondo uno studio della Federal Reserve solo il 13,8% della famiglie Usa ha in portafoglio titoli equity. Si tratta del livello più basso degli ultimi 18 anni. Dal 2007 a febbraio 2015, intanto, i risparmiatori yankee hanno ritirato 661 miliardi di dollari dai fondi di investimento americani e dagli Etf dedicati alle azioni Usa.

La scelta di dire addio alle azioni non ha pagato in termini di finanza personale. Il rendimento medio annuo del mercato azionario americano dal 1926 a oggi è stato del 7% (in termini reali), ben al di sopra di tutti gli altri asset di investimento che, peraltro, presentano difficoltà operative maggiori rispetto ai all’equity. Basti considerare che la moneta non ha scampo contro l’aumento dell’inflazione, mentre le obbligazioni in molti casi ormai offrono rendimenti negativi. Il real estate, da parte sua, ha dimostrato in più occasioni di non essere più il porto sicuro che era in passato.

Dove sono finiti, quindi, i guadagni realizzati dall’equity Usa? Secondo uno studio della New York University sono andati nelle tasche del 93% di quella porzione (un decimo) di americani super-ricchi. Un gruppo di persone dalle cui mani passa l’81% delle azioni trattate sul mercato. Secondo gli accademici newyorkesi, peraltro, questo è uno dei motivi per cui i paperoni si arricchiscono sempre di più.

Una questione d’età
Ma cosa c’è dietro la disaffezione verso questo tipo di investimento di molti americani? L’età sembra essere un fattore fondamentale. Uno studio della Columbia University spiega che gli eventi vissuti intorno ai 18 anni sono in grado di influenzare tre volte di più le scelte di una persona rispetto a quelli sperimentati a 40 anni. E questo, secondo il report, è vero sia per le scelte politiche che per quelle di investimento. Le generazioni che hanno vissuto il boom della Borsa del periodo 1982-2000 oggi anno 50 anni e più. Quando erano più giovani la forte crescita del mercato ha lasciato in loro una sorta di imprinting per le scelte di investimento.

Le persone che hanno raggiunto l’età adulta nel decennio iniziale del nuovo millennio, invece, hanno vissuto due crisi dei mercati (dot com e subprime) che gli hanno instillato un senso di sfiducia verso le azioni. Una situazione che assomiglia a quella registrata nel periodo 1929-1933 con il crollo dell’80% di Wall Street e la Grande depressione. Esperienze che hanno fatto diventare molte persone diffidenti verso il mercato azionario, portandole a mancare il +1.500% segnato dall’equity Usa dal 1933 fino agli anni ’70.

I soldi che non trovano la strada delle Borsa, tuttavia, non si stanno perdendo. Molti giovani, ad esempio, preferiscono utilizzare il denaro non investito in titoli per mettere in piedi una nuova attività commerciale. Il fenomeno è particolarmente evidente in California dove l’Ufficio brevetti, dopo i livelli minimi toccati nel 2010, sta contando una crescita sempre maggiore di nuove registrazioni. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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