Il dollaro non fa sconti a nessuno

Le condizioni perché il biglietto verde continui a rafforzarsi, dicono gli operatori, ci sono ancora tutte. A farne le spese potrebbero essere alcuni paesi emergenti, mentre nuovi investimenti arriveranno in Usa. L'euro, intanto, continua a soffrire. 

Marco Caprotti 14/01/2015 | 12:53
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Ma è il dollaro che è forte o è l’euro troppo debole? La domanda, in una situazione in cui la moneta unica viaggia intorno ai minimi dal 2005 nei confronti del biglietto verde, è meno filosofica di quello che potrebbe sembrare, soprattutto alla luce delle posizioni di portafoglio che devono prendere gli investitori in questa fase.

La divisa di Eurolandia è sempre più all’angolo, di riflesso alle speculazioni circa i rischi di deflazione in Europa e della crisi della Grecia (in vista delle elezioni anticipate fissate per il prossimo 25 gennaio). Non di meno a indebolirla sono anche i rendimenti più allettanti (soprattutto in prospettiva) dei mercati denominati in dollari e le parole del presidente della Bce, Mario Draghi, che, non solo ha confermato che i tassi dell'Eurozona rimarranno bassi a lungo, ma ha anche aperto la strada alle operazioni di Quantitative easing.

La tempesta perfetta in Europa
Più nel dettaglio, c’è una combinazione di fattori che rischia, nel giro di poche settimane, di tramutarsi in una tempesta perfetta. Il primo fattore è rappresentato dal pericolo concreto che dalle elezioni parlamentari greche del 25 gennaio possa uscire trionfante il partito Syriza, che è su posizioni fortemente antieuropeiste. Il timore è che la Grecia possa avviarsi sulla strada di un'uscita dall'euro che rappresenterebbe la sfida più drammatica mai vissuta sino ad ora dalla divisa comune.

Questa prospettiva è tanto più preoccupante in quanto le elezioni cadranno tre giorni dopo una riunione della Bce da cui ci si attende l'annuncio di un programma in vasta scala di Quantitative easing. La maggior parte degli analisti ritiene invece ora che i governatori potrebbero avere le mani legate perché ogni mossa potrebbe essere interpretata come un'ingerenza nelle dinamiche politiche interne della Grecia e inoltre sarebbe difficile assumere delle iniziative a fronte di un'incognita tanto grande quanto la permanenza del paese nell'euro. In terzo luogo, il dato sulla crescita dell'inflazione in Germania ha nuovamente riacutizzato i timori di una prossima caduta in deflazione. I prezzi sono cresciuti di un misero 0,2% annuo.

Cosa spinge il dollaro
Il dollaro, da parte sua, può contare su quegli elementi di crescita congiunturale che ne hanno determinato lo stato di forma nel corso del 2014, seppur mitigati, forse, da altri fattori. “Il consensus degli economisti dice che il Pil Usa quest’anno crescerà del 2,9%”, dice Robert Johnson, responsabile della ricerca macro di Morningstar. “Noi, invece continuano a pensare a una forchetta compresa fra il 2% e il 2,5%. Molti parlano del calo del prezzo del petrolio come dell’elemento che farà crescere il paese del 3% o oltre nel 2015. Tuttavia, secondo noi, il rallentamento dei mercati internazionali, un mercato immobiliare ancora lento, un calo delle vendite delle auto e il rialzo dei tassi di interesse condizioneranno l’attività economica”.

Decisamente più ottimistica la visione degli economisti di Goldman Sachs che prevedono un miglioramento del Pil del 3,1% nel 2015 e del 3% secco nel 2016. “La crescita al di sopra della media registrata dagli Stati Uniti nel 2014 resisterà anche nel 2015 e farà da volano alla ripresa globale”, spiega un report della merchant bank. “Gli impulsi positivi arriveranno dai consumi privati, dagli investimenti residenziali e da quelli delle aziende”.

Più asset in Usa?
Quali potrebbero essere gli sviluppi di questa situazione? “Ci aspettiamo che il dollaro continui ad apprezzarsi nei confronti delle principali valute fino a quando l’economia americana proseguirà il trend di rafforzamento”, spiega un report di Jaf Global. “Questa situazione metterà sotto pressione quei mercati emergenti i cui governi e le cui aziende hanno investito pesantemente nel biglietto verde facendo deprezzare le loro valute. In uno scenario del genere, anche la Cina potrebbe essere costretta a svalutare lo yuan. Non può permettersi di vedere diminuire eccessivamente le esportazioni in un momento in cui sta cercando di rendere più organica la sua crescita. Il risultato di tutte queste dinamiche sarà un nuovo afflusso di capitali negli Usa che manderà il dollaro ancora più in alto”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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