Ritorno a Piazza Affari con Etf e fondi

Record di flussi su prodotti attivi e passivi specializzati sulla Borsa italiana. Quali sono le ragioni del boom e chi ha fatto meglio. A Milano le mid cap fanno la differenza.  

Francesco Paganelli 23/07/2014 | 10:28
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Piazza Affari è tornata di moda nel 2014, come evidenziano i dati sui flussi di investimento. Ma analizzando più a fondo i numeri dell’ultima rilevazione Morningstar (con i dati dei primi sei mesi del 2014), si notano alcune sorprese. Da inizio anno, infatti, gli investitori (retail e non) sono tornati sul mercato italiano con flussi monetari importanti. La novità è che buona parte di questi flussi hanno interessato anche gli Etf (Exchange traded fund) tradizionali, cioè quei prodotti che replicano passivamente le performance del Ftse Mib.

Se per i fondi non siamo ancora tornati ai massimi in termini di masse gestite (pari a 9,5 miliardi di euro a marzo 2007, contro gli 8,9 miliardi di fine giugno), a marzo di quest’anno si è registrato il record mensile di flussi in entrata (640 milioni di euro) da quando Morningstar effettua le rilevazioni (gennaio 2007). Non raggiungono ancora questi numeri gli otto Etf appartenenti alla categoria Morningstar azionari Italia, ma la crescita organica di questi prodotti è degna di nota. Le masse in gestione degli indicizzati (perlopiù replicanti del Ftse Mib) sono quasi triplicate negli ultimi 12 mesi. Anche per i prodotti passivi a marzo 2014 si è registrato il record di flussi, con oltre 400 milioni di euro investiti in Etf dedicati agli indici italiani (quello di Lyxor ne ha catturati quasi il 50%).

Tra gli investitori spunta il retail
Da inizio anno si sono registrati flussi per 3,5 miliardi di euro, una crescita organica rispetto alle masse in gestione al 31 dicembre 2013 pari addirittura al 44%.

L’ordine di grandezza è stato tale che il fondo Fidelity Italy ha subito una soft closure (chiusura temporanea a nuove sottoscrizioni), dopo aver raggiunto un patrimonio in gestione superiore a 1,3 miliardi, con conseguenze anche sul processo di investimento (ad esempio, il numero di azioni in portafoglio è passato da 35 di gennaio 2013 a oltre 50 di giugno 2014). In particolare, il comparto ha avuto 470 milioni di flussi di investimento netti dall’inizio dell’anno, circa il 45% dei quali verso la classe istituzionale. Abbiamo osservato lo stesso trend per i fondi di Axa e Dnca specializzati sulla Borsa milanese.

Sentiment positivo o valutazioni a sconto?
Possiamo fare diverse ipotesi per spiegare i numeri che emergono dall’analisi dei flussi.
Una prima ipotesi può essere il sentiment positivo sulla situazione economica italiana (che gli ultimi dati macro, meno positivi delle attese, sembrano ridimensionare).
Una seconda ipotesi è che tale trend vada inserito in un contesto globale di ritorno della fiducia sull’Europa e sulla sua periferia: i flussi verso fondi ed Etf della Categoria Morningstar Azionari Spagna hanno infatti mostrato una crescita organica delle masse simile all’Italia, pari al 42% nei primi sei mesi dell’anno.
Una terza ipotesi è che le blue chips italiane abbiano un valore relativo più attraente rispetto alle altre capitalizzazioni (e ciò potrebbe in parte spiegare anche il successo dei prodotti passivi). Da inizio anno (e fino a fine giugno 2014), il Ftse Mib ha infatti sovraperformato sia la media dei fondi azionari Italia (del 3,56%), sia l’indice Ftse Italia MidCap (del 5,6%). Bisogna tra l’altro tenere presente che nel 2013 l’indice MidCap italiano aveva realizzato un rendimento del 52,66%, oltre 30 punti percentuali al di sopra del Ftse Mib.

Etf o fondi, chi fa meglio
La dinamica della Borsa milanese negli ultimi mesi ha interrotto un fenomeno che ha caratterizzato il mercato italiano negli anni scorsi, cioè la netta sovraperformance della media dei fondi rispetto al più utilizzato indice italiano, il Ftse Mib. Per comprendere questo aspetto dobbiamo guardare alla struttura del listino milanese.

 

Prendiamo ad esempio la notevole sovraperformance dell’indice mid cap rispetto a quello small cap. L’universo di small cap italiane è un territorio complicato per gli investitori istituzionali. I 120 titoli che compongono l’indice Ftse Italia SmallCap pesano infatti solo l’1,45% del Ftse Italia AllShare. Per gli standard europei (ma anche per gli standard adottati da Morningstar nel classificare la capitalizzazione di mercato) questi sono titoli micro, non small. Per esempio, il 24% dei titoli dell’indice non è presente nel portafoglio di nemmeno un fondo di investimento e la capitalizzazione di mercato media, pari a 144 milioni, è inferiore alla dimensione media del fondo di investimento appartenente alla categoria azionari Italia (circa 184 milioni di euro).

Il risultato è che un gestore che abbia sottoperformato la media dei concorrenti è stato comunque in grado di far meglio del Ftse Mib (rappresentativo dell’80% della capitalizzazione di mercato di Borsa Italiana), almeno negli ultimi anni.

Le mid cap fanno la performance
Probabilmente è una combinazione di diversi fattori a spiegare le ragioni del successo dei gestori attivi: innanzitutto, il fondo medio sovrappesa le mid e small cap italiane (in parte un fattore strutturale, dato che i limiti previsti dalla normativa Ucits in merito alla concentrazione di portafoglio rendono gli indici Ftse Mib e Ftse AllShare di fatto irreplicabili). Questo aspetto viene evidenziato nella seguente tabella:

Inoltre, negli ultimi dieci anni l’indice Ftse Italia Mid Cap ha nettamente sovraperformato in termini di rendimenti aggiustati per il rischio gli altri indici (e la media dei fondi). Questa caratteristica è probabilmente unica del mercato italiano, ed è quindi utile confrontare questi dati con quelli di altri mercati.

Vediamo un confronto tra Spagna e Italia:

 

Alcuni dati sono controintuitivi, come la minore volatilità mostrata dall’indice mid cap rispetto a quello large, il quale ha invece sovraperformato fondi attivi e indice mid cap in termini di rendimenti aggiustati per il rischio nel caso della Spagna (l’Ibex Medium Cap, a differenza della realtà italiana, mostra anche un livello di perdita massima ben superiore). Anche negli Usa, il mercato finanziario più efficiente al mondo, l’indice Russell 1000 (large cap) ha volatilità e rendimenti degli ultimi 10 anni inferiori a quelli del Russell 2000 (small cap), come previsto dalla teoria finanziaria.

Di seguito riportiamo infine il rendimento relativo della media di categoria rispetto ad un benchmark rappresentativo per tre paesi: Usa, Spagna e Italia. Nella tabella abbiamo calcolato il rendimento rolling a un anno, ovvero la performance misurata ogni mese sui 12 mesi precedenti (dal 2004 al 2014). Le barre verdi indicano che nella finestra mobile di 12 mesi il fondo medio ha sovraperformato l’indice, e viceversa per le barre rosse. Come è evidente, la media dei fondi italiani riesce a superare l’indice più spesso degli omologhi spagnoli (il cui benchmark – l’Ibex 35 - ha un livello di concentrazione simile al Ftse Mib).

 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Francesco Paganelli

Francesco Paganelli  è Fund Analyst di Morningstar in Italia

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