Mifid II, delusione consulenza

La nuova normativa introduce una maggiore chiarezza sulla preselezione dei prodotti e sul contenimento del rischio, ma sulla advisory fee only perde una grande occasione.

Valerio Baselli 06/03/2014 | 10:20
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Chi spera in uno sviluppo serio della consulenza indipendente europea sul modello anglosassone sarà sicuramente rimasto deluso dalla neo nata Mifid II. Tra questi, c’è anche l’avvocato Luca Zitiello, managing partner dello studio Zitiello e Associati ed esperto di regolamentazione finanziaria. “La nuova normativa sulle regole di condotta raccoglie molte indicazioni già fornite dall’Esma, come intervento di terzo livello, ma non offre particolari spunti di rottura o di fortissima innovazione”. Insomma, come tutti i compromessi, è nato zoppo.

Ci vuole più coraggio
Il maggior rimprovero riguarda proprio l’attività di fee-only advisory. “Non c’è stata nessuna scelta netta, sono andati in scia alla Mifid I, riaffermando la sua centralità e declinando meglio la tipologia del servizio”. Ma quali sono le novità introdotte sulla consulenza? “La nuova direttiva obbliga le  imprese di investimento a dichiarare preventivamente che tipo di consulenza intendono fare: se di carattere distributivo e legata ad un limitato range di prodotti con vincoli di gruppo o di carattere contrattuale, oppure fornita in modo indipendente”.

Una decisione di buon senso, ma non sufficiente. “Avrei voluto molto più coraggio”, spiega Zitiello. “Si sarebbe potuto dire chiaramente che chi fa consulenza può essere remunerato solo ed esclusivamente dal cliente e non dalle società prodotto. Se si imponesse un divieto secco e generalizzato, si potrebbe ottenere un duplice risultato: da un lato si eliminerebbero davvero i conflitti d’interesse, perché un simile divieto obbligherebbe l’intero mercato a riposizionarsi e favorirebbe una sana competizione in termini di qualità ed efficienza sia fra intermediari nell’esercizio dell’attività di consulenza ed in quella distributiva, sia tra le società prodotto che non avendo più la leva dell’inducement dovrebbero puntare sulla qualità dei loro prodotti per aumentare la loro capacità distributiva. Dall’altro lato, si riuscirebbe a far percepire al cliente l’importanza del servizio di consulenza attraverso il pagamento di un corrispettivo ad hoc, ma molto più trasparente ed in assenza di conflitto di interessi”. È infatti innegabile che ad oggi gli investitori privati, quelli italiani in particolare, sono molto poco propensi a pagare per il mero servizio di consulenza, forse anche perché questo implica una cultura finanziaria da parte del cliente un po’ più sviluppata rispetto a quella attuale.

“Ricordiamoci di cosa avveniva prima della MiFID nella gestione patrimoniale in fondi”, continua l’avvocato. “Il gestore poteva essere pagato dai fondi che comprava; questo è stato vietato dalla Mifid I. Si dovrebbe fare lo stesso  nell’ambito del servizio di consulenza”.

I punti positivi
La normativa, comunque, introduce anche spunti interessanti. Come ad esempio l’intervento sulla product governance, in cui si cerca di spingere le case di gestione a puntare fortemente sulla comprensione del prodotto da parte dei clienti e sulla considerazione della loro tolleranza al rischio. “In pratica le società che costruiscono  e quelle che distribuiscono i prodotti d’investimento saranno tenute a una specie di preselezione e di segmentazione per tipo di clientela a priori”, commenta Zitiello. In sostanza, ad esempio, non si potrà offrire uno strumento troppo complesso o rischioso a investitori privati. “Ci sarà quindi una maggiore aderenza tra la fase di ingegneria e di intermediazione, questo è un passo in avanti rispetto alla versione precedente”.

Altro punto positivo riguarda la remunerazione interna, che interessa in prima persona i promotori finanziari. “Non si potrà avere uno schema remunerativo che non tenga conto degli obietti d’investimento o della tolleranza al rischio del cliente finale; tradotto, non saranno ammessi particolari incentivi alla vendita su un determinato prodotto solo perché più conveniente, o specifiche campagne per spingere strumenti con commissioni più elevate o comunque schemi di remunerazione legati a obiettivi di risultato”. Insomma, al centro ci deve, o ci dovrebbe, essere sempre l’interesse finale dell’investitore.   

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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