Usa, se la cura diventa doping

I piani di stimolo della Fed, dicono gli operatori, non possono essere infiniti. I bilanci aziendali, da soli, bastano a giusticare la ripresa dell'equity.

Marco Caprotti 27/03/2013 | 15:34
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Nuovi piani di stimolo all’economia Usa? No grazie. Wall Street non è convinta che i programmi di aiuto lanciati in questi anni dalla Federal Reserve debbano continuare all’infinito. Nell’ultima riunione del suo braccio operativo la Fed ha lasciato intatto il piano di acquisto di Treasury e bond ipotecari. Anche i tassi di interesse sono rimasti al minimo storico e a tale livello rimarranno fino al 2015. L’istituto guidato da Ben Bernanke ha leggermente tagliato le stime sul Pil al 2015. I piani – ed è questo l’elemento che crea una situazione di cui non si vede la fine – resteranno in vigore fino a quando la disoccupazione non sarà al 6,5% (e quindi, nelle previsioni della Fed, fino al 2015) e l’inflazione non si sarà stabilizzata intorno al 2,5%.

Ma non è detto che queste due previsioni si realizzino nei tempi sperati. “Intendiamoci, le misure fino a qui adottate sono servite”, dice Bob Johnson, direttore dell’analisi economica di Morningstar. “Il mercato azionario americano è salito del 133% rispetto ai minimi e diversi indici, non solo a Wall Street, sono arrivati ai massimi storici. Anche i prezzi del real estate sono cresciuti. Hanno ancora molta strada da fare ma, rispetto all’anno scorso, sono migliorati del 10%”. Il merito non è soltanto dei programmi di aiuto. “Sicuramente hanno regalato un po’ di fiducia agli operatori, ma le condizioni per una ripresa c’erano comunque”, continua Johnson. “I bilanci delle grandi aziende americane, ad esempio (quelle che lavorano soprattutto all’estero e sono meno influenzate dalle condizioni congiunturali degli Usa) sono sempre più in salute e mostrano meno debiti. Due obiettivi che, probabilmente, avrebbero raggiunto anche con programmi di stimolo meno forti”. E, quindi il caso di continuare con questi piani? “Noi abbiamo sempre detto che l’economia americana deve essere in grado di camminare con le sue gambe”, risponde Johnson. “Forse siamo stati troppo rigidi. Oggi però vediamo che molti operatori con cui parliamo pensano sia il caso di abbandonare, gradualmente questi piani che, alla lunga, rischiano di drogare le valutazioni”.

Il quadro macro
Nell’immediato, tuttavia, gli operatori non si possono lamentare del quadro congiunturale con il quale hanno a che fare. Decisamente positivo, per esempio, è il dato sulle vendite al dettaglio che, a febbraio, sono aumentate dell’1,1% rispetto al mese precedente. Ancora in rialzo soprattutto le vendite di auto, ma ci sono stati buoni dati anche sui materiali da costruzione, legati alla ripresa dell’immobiliare. Al netto di auto e benzina le vendite al dettaglio sono aumentate di uno 0,4% mensile, comunque il doppio delle attese. “I dati sono ottimi e segnalano un’accelerazione dei consumi nonostante gli effetti restrittivi delle manovre fiscali americane”, dice un report di Banca Intermobiliare (Bim). In linea con le attese il progresso della produzione industriale di febbraio, (+0,7% rispetto al mese precedente) in ripresa dopo la rilevazione piatta di gennaio. Come per le vendite al dettaglio anche nella produzione, parte del rialzo è legato al settore auto, accompagnato dalle utility. I dati sui prezzi di febbraio sono stati sostanzialmente in linea con le attese, in rialzo a causa principalmente delle variazioni dei prezzi dell’energia. “Escludendo le variazioni mensili di questi prezzi, le pressioni inflazionistiche rimangono perlopiù assenti negli Stati Uniti”, continua il report.

Indicazioni contrastanti sono arrivate dagli indici di sentiment. L’Empire manufacturing della Fed di New York è rimasto sostanzialmente stabile a marzo, attestandosi a 9,24 e con un miglioramento della componente aspettative, in linea con le previsioni di economia in ripresa nei prossimi trimestri. In netto calo, invece, la fiducia dei consumatori elaborata dall’Università del Michigan che, a marzo, è scesa di circa sei punti (contro attese di un leggero rialzo) a 71,8, tornando poco sotto i livelli di dicembre e gennaio. “È probabile che sul dato abbiano pesato i recenti timori sul sequester, anche se a livello di economia reale, come visto con le vendite al dettaglio, i consumi sembrano rimanere forti”, dicono da Bim. Positivi i dati sul mercato immobiliare. Nuove costruzioni (+0,8% a 910 mila unità) e permessi edilizi (+4,6% a 946 mila) sono saliti leggermente più delle attese a febbraio. In calo, a marzo, il dato sulla fiducia dei costruttori (scesa a 44 da 46).

Le scelte operative
“Verso la fine del 2012, abbiamo toccato con mano l’impatto negativo che le controversie politiche possono avere sull’attività economica, quando i timori generati dal possibile esito dei negoziati sul fiscal cliff negli Stati Uniti hanno determinato il congelamento di qualsiasi decisione e spesa da parte delle aziende”, spiega uno studio firmato da Mark Burgess, Chief Investment Officer di Threadneedle. “Avevamo previsto una ripresa nel momento in cui le incertezze si fossero dissipate e i nostri ultimi incontri con i dirigenti delle aziende statunitensi hanno confermato la nostra aspettativa. Alcune società, inoltre, beneficiano delle spese in conto capitale mentre, complessivamente, l'area dei fornitori aziendali evidenzia un’importante accelerazione dell’attività. Il dibattito sui tagli della spesa pubblica non si placa, ma l’effetto dell’operazione dovrebbe stemperarsi nell’arco di un periodo di tempo discretamente lungo e non essere particolarmente marcato. Al contempo, i dati sul mercato immobiliare e l’occupazione statunitensi continuano a rafforzarsi. Prevediamo un andamento relativamente positivo dell’economia Usa, che dovrebbe beneficiare in modo considerevole della probabile indipendenza energetica del paese. Questa situazione favorisce soprattutto le aziende che generano utili in dollari e incoraggia un’esposizione sui titoli ciclici degli Stati Uniti”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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