Indici non di marca

Alcuni emittenti di Etf hanno cominciato a replicare benchmark fatti in casa, in modo da diminuire i costi. Morningstar analizza i pro e contro di tale pratica.

Alastair Kellett 11/01/2013 | 10:43
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La maggior parte degli Exchange traded fund replicano indici che vengono creati da importanti società del settore, come S&P e MSCI. Questi fornitori di benchmark sono in grado di farsi pagare commissioni relativamente elevate dagli emittenti di Etf per l’utilizzo dei loro indici e per inserire il nome del benchmark all’interno di quello del fondo. Questi costi vengono di solito trasferiti sugli investitori.

Tuttavia l’industria sta vivendo un cambiamento. Alcuni emittenti di Etf hanno deciso di creare i loro propri indici, per evitare di pagare le commissioni ai fornitori di riferimento. Questo è stato definito Self indexing, auto-indicizzazione. In teoria, il risparmio sui costi potrebbe quindi essere trasmesso agli investitori sotto forma di minori commissioni annuali. WisdomTree e IndexIQ replicano già indici creati in casa, ma l’industria appare divisa.

Tra gli operatori ci sono infatti preoccupazioni circa la trasparenza di questi nuovi indici “senza nome” e anche per i potenziali conflitti di interesse. In particolare, gli avversari del Self indexing citano tra i potenziali problemi le modalità di calcolo dei prezzi dei componenti dell’indice, la possibilità di inclusione di costi poco chiari, la metodologia di costruzione e gli incentivi a modificare le regole per migliorare le prestazioni. I sostenitori dell’auto-indicizzazione, invece, la vedono come un modo per offrire agli investitori commissioni più basse, a condizione che siano disposti ad accettare un Etf che replica un indice non di marca.

Fattori critici
Il pricing dei titoli è forse il conflitto più palese. In particolare, per i fondi con titoli poco liquidi, c'è spesso una certa discrezionalità nel calcolo preciso del valore patrimoniale netto (Nav), il che ha un impatto diretto sulle prestazioni. Per un Etf auto-indicizzato ha senso quindi avere un soggetto terzo indipendente per il calcolo del valore del benchamark, così come è importante avere terze parti per i prezzi dei fondi gestiti attivamente.

I timori legati a eventuali costi poco trasparenti non sono a nostro parere così giustificati. Allo stato attuale, è in genere molto difficile per gli investitori in Etf a comprendere gli esatti costi associati con la licenza di un particolare indice di marca. Quindi, in questo senso, per gli investitori la differenza è irrilevante.

Gli oppositori sostengono anche che avere gli stessi soggetti che si occupano sia della costruzione del benchmark sia della gestione del portafoglio può creare un conflitto d’interesse, poiché la società potrebbe tentare di creare indici che sono più facili da monitorare, ma non sono necessariamente nel migliore interesse degli investitori. Inoltre, gli emittenti auto-indicizzati potrebbero essere tentati di scegliere componenti che possono risultare utili per il prestito titoli sul mercato, che potrebbe dare una fonte di reddito aggiuntiva. Ma queste preoccupazioni potrebbero essere efficacemente mitigate da un chinese wall, ovvero una netta separazione tra i team dedicati alla manutenzione degli indici e alla gestione del portafoglio.

Inoltre, si sostiene che il Self indexing potrebbe spingere gli emittenti a manomettere le regole dei benchmark nel tentativo di migliorare le prestazioni. Per evitare ciò, gli investitori dovrebbero cercare eventuali modifiche alla metodologia del benchmark sottostante.

Quali benefici
La grande questione è capire se il Self indexing possa davvero fornire benefici agli investitori. A prima vista sembra una strada promettente per una riduzione dei costi. Ma la creazione e la manutenzione di un indice all'interno di una divisione separata richiede risorse aggiuntive, quindi per essere conveniente, l’emittente dovrebbe avere una dimensione sufficiente per poter contare su economie di scala. Per non parlare del fatto che i provider di indici attualmente si fanno carico di una buona parte del marketing che attrae gli investitori.

La domanda per questi prodotti è poco chiara. Gli investitori istituzionali sono spesso indicizzati sui benhcmark più grandi e ben noti e non necessariamente darebbero il benvenuto a un benchmark non di marca all'interno della componente passiva dei loro portafogli. E’ probabile quindi che la domanda si concentri su nicchie del mercato e sugli indici di strategia, piuttosto che su quelli generali.

La normativa
Il contesto normativo sul Self indexing è ancora poco sviluppato. Negli Stati Uniti, gli emittenti di Etf devono ottenere un’autorizzazione della Securities and exchange commission (Sec). In Europa, non ci sono restrizioni specifiche per la pratica, e, negli orientamenti pubblicati di recente per l’industria, l’Esma (autorità di vigilanza sui mercati) non ha proposto alcuna restrizione al di là di quelle già previste dalla normativa Ucits, relative a requisiti di trasparenza, sicurezza e diversificazione dei fondi comuni.

Man mano che la concorrenza si intensifica tra gli emittenti, è inevitabile che ci sia la tentazione di rivedere le commissioni relative ai benchmark, in ottica di ridurre i costi. I benefici del Self indexing, tuttavia, non sono forse così significativi come sembrano a prima vista, così come non lo sono i rischi.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Alastair Kellett  Al Kellett is an ETF analyst with Morningstar Europe.

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