Investitori irrazionali: se è mio, è migliore

Seconda distorsione cognitiva: l’endowment effect, cioè valutare troppo ciò che si possiede in portafoglio, perdendo opportunità di vendita.

Valerio Baselli 06/03/2012 | 09:29
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Dopo aver introdotto la finanza comportamentale (per approfondire clicca qui) e aver parlato della paura di perdere (per leggere clicca qui), nella terza puntata del nostro “viaggio” nella mente irrazionale degli investitori, ci occupiamo della prima distorsione cognitiva che è stata scoperta: l’endowment effect, traducibile come “effetto di dotazione”.

Se è mio, è migliore
Il concetto dell’endowment effect (riconducibile alla più ampia teoria del mental accounting) è stato sviluppato nel 1980 dall’economista statunitense Richard Thaler, che ipotizza che le scelte economiche delle persone sono mediate da un vero e proprio sistema di contabilità mentale, che non è neutrale e produce comportamenti non del tutto coerenti col modello microeconomico neoclassico standard, basato sulla perfetta razionalità degli agenti.

In pratica, l’effetto di dotazione consiste nella discrepanza, osservata sia in numerosi esperimenti teorici che nella realtà empirica, tra la valutazione che si dà ad un bene nel caso in cui lo si possieda e la valutazione che si dà dello stesso bene nel caso in cui non lo si possieda. In particolare, i ricercatori hanno notato che si tende a valutare di più un bene che già si possiede, ovvero che fa parte della nostra dotazione: ciò risulta in una attività dei mercati ridotta.

L’esempio classico che si cita per spiegare meglio il concetto è quello della tazza da caffè, che prende spunto da un espirimento in cui a metà dei soggetti di un gruppo fu data una tazza. Poi a coloro che avevano la tazza è stato chiesto il prezzo al quale desideravano vendere e a coloro ai quali non era stata data la tazza è stato chiesto a quale prezzo volevano fare un’offerta. La teoria utilitaristica prevede che entrambi i prezzi debbano essere all’incirca uguali, ma in realtà il prezzo di vendita medio si è rivelato circa il doppio del prezzo medio di offerta. In un altro esperimento ai soggetti sono stati dati una penna o in alternativa una tazza entrambi di eguale valore. Poi ai soggetti è stata data la possibilità di scambiare l’oggetto ricevuto con l’altro. Se le preferenze dei soggetti non avessero nulla a che fare con l’oggetto ricevuto, la percentuale di soggetti che avrebbero scambiato l’uno o l’altro dovrebbe essere stato lo stesso. In realtà, la maggior parte delle persone ha conservato l’oggetto e solo il 22% lo ha scambiato.

Conseguenze pratiche
L’endowment effect ha delle implicazioni immediate per gli investitori. In pratica, se il mercato ci dice che l’azione, il fondo o il bond che abbiamo in portafoglio vale 10 euro, noi pensiamo istintivamente che sia sottovalutato, prima di effettuare qualsiasi analisi. L’unico modo per superare questo scoglio è analizzare oggettivamente ciò che possediamo e ogni possibile alternativa.

“Basta dare uno sguardo a qualsiasi categoria Morningstar per capire che non tutti i fondi sono creati e gestiti nella stessa maniera”, afferma Lee Davidson, analista di Morningstar. “Se si sceglie di investire in un prodotto è naturale avere una certa inclinazione nel considerarlo migliore degli altri, altrimenti non lo si avrebbe scelto”. Questa inclinazione, però, tende a perdurare nel tempo, rischiando di farci perdere di vista le possibili migliori alternative. “Non c’è niente di male a prendere decisioni chiare”, prosegue Davidson, “ma occorre comunque essere consapevoli di questa tendenza. E’ quindi fondamentale sforzarsi di giudicare ogni alternativa nel modo più neutro possibile”.

I replicanti aiutano, ma non eliminano
Nella scorsa puntata, abbiamo visto come l’utilizzo di Etf può aiutare nel combattere la loss aversion. Tuttavia, gli Etf non possono essere considerati la cura per ogni distorsione cognitiva. In questo caso, ad esempio, gli Etf sono soggetti alla tendenza ad essere sopravvalutati da parte di chi li possiede come qualsiasi altro strumento di investimento.

Tuttavia, quello che cambia è l’effetto di questa distorsione. Prendiamo ad esempio un Etf che replica l’indice Euro Stoxx 600. Poniamo caso che l’investitore in questo replicante sia, a causa dell’endowment effect, disposto a venderlo solo ad un prezzo superiore del 10% rispetto al valore corrente di mercato. Probabilmente, questo investitore non è in grado, ove possibile, di vedere un Etf alternativo sullo stesso indice, magari con commissioni più contenute e un tracking error più basso. Si perde, cioè, le eventuali migliori alternative. Tuttavia, in questo caso, le conseguenze sarebbero molto contenute, grazie alla omogeneità con il benchmark replicato. Si tratterebbe nel peggiore dei casi di una manciata di basis point perduti.

La settimana prossima parleremo della overconfidence, la troppa fiducia che molti investitori hanno nel proprio giudizio.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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