Etf, una lezione di storia

I replicanti hanno vissuto un vero e proprio boom negli ultimi anni. Ma quando e come sono nati?

Lee Davidson 05/03/2012 | 10:50
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Il patrimonio mondiale investito in Exchange traded products (Etp), termine che racchiude tutte le forme di replicanti quotati, ha visto una crescita esplosiva negli ultimi dieci anni e la loro complessità sembra crescere di pari passo. La popolarità di questi strumenti ha aumentato l’interesse da parte degli investitori e ha sollevato questioni sul loro funzionamento, su come analizzarli e su come usarli.

Un decennio di crescita per gli asset investiti in Etp

Fonte: Morningstar Direct

La definizione più comunemente utilizzata per un Etf è: “Un fondo che viene scambiato in Borsa come un’azione”. Tuttavia, per inquadrare questi strumenti nel giusto contesto storico, abbiamo prima bisogno di ripercorrere la nascita dei fondi comuni tradizionali.

L’unione fa la forza
I fondi comuni sono nati per una questione di convenienza. Gruppi di investitori decisero infatti di mettere assieme i propri capitali in un unico portafoglio perchè non avevano il tempo e la competenza per investire i propri soldi in singoli titoli. Con i capitali aggregati, ai partecipanti era garantita una porzione del fondo in base alla quantità di denaro investito. Il fondo fu poi dato in supervisione ad un responsabile competente ad investire per loro conto.

Questo tipo di struttura offre diversi vantaggi. In primo luogo, serve a ridurre i costi di investimento, grazie all’economia di scala derivante dalla messa in comune del patrimonio degli investitori. Un secondo importante vantaggio è che gli investitori possono godere di una maggiore diversificazione.

La creazione del primo fondo comune d’investimento è attribuita ad un mercante olandese nel 1774 e avvenne a seguito di una crisi di liquidità accaduta ad Amsterdam nel 1773. L’obiettivo era fornire agli investitori che avevano piccole quantità di capitale la possibilità di mettere in comune i loro averi e, di conseguenza, aumentare l’accesso alle iniziative remunerative e diminuire il rischio di investimento attraverso la diversificazione. Il fondo si chiamava "Eendragt Maakt Magt", ovvero "L’unione fa la forza", e il suo portafoglio conteneva 100 diverse attività in Europa, America Centrale e Sud America. Il fondo è durato oltre 120 anni e detiene ancora oggi il record per il veicolo di investimento di questo genere più longevo che sia mai esistito.

Nonostante il successo iniziale di "Eendragt Maakt Magt," i fondi comuni non diventarono una struttura d’investimento molto popolare prima della fine degli anni Venti del Novecento negli Stati Uniti. Prima di allora, infatti, le forme collettive d’investimento più utilizzate erano le Investment trust o i fondi chiusi. Ma queste strutture risultavano poco flessibili e non rispondevano bene al bisogno degli investitori di liquidare le proprie posizioni o di incrementare il proprio investimento.

Nel 1924, nacque il Massachusetts Investment Trust (MIT), che fu creato con una struttura aperta  che permise la regolare creazione e liquidazione delle azioni. Il salto, però, avvenne durante la Grande depressione del dopo ’29, durante la quale i fondi chiusi negoziavano con forti sconti rispetto al Nav (Net asset value) facendo incassare grosse perdite agli investitori. Al contrario, i fondi aperti permettevano di acquistare e vendere al Nav, il che fece aumentare molto la loro popolarità. Non a caso, negli anni seguenti ci fu una proliferazione dei fondi aperti a scapito dei chiusi.

L’innovazione nasce dalle crisi
Come il successo della struttura aperta è radicato nella Grande depressione, analogamente, la struttura degli Exchange traded fund ha le proprie radici nel crollo di Borsa del 1987. Senza entrare troppo nel dettaglio, gli investitori istituzionali scoprirono dalle dinamiche di questo crollo del mercato che avevano la necessità di scambiare grandi quantità di azioni in modo rapido e preferibilmente su base intraday. Nel 1990, una società di Los Angeles, la Leland-O'Brien-Rubinstein (LOR) mise in atto l’idea secondo la quale le azioni possono essere raggruppate in un paniere, il quale può essere quotato in Borsa e negoziato come una singola unità. La creazione del fondo avvenne con successo, ma durò solo un paio di anni a causa della mancanza d’interesse da parte degli investitori, principalmente per via delle alte soglie d’investimento minimo.

Tuttavia, l’idea di quotare un fondo in Borsa non morì. In Canada, la società Toronto Index Participation Shares decise nel 1990 di replicare l’indice Toronto Stock Exchange 35, diventando molto popolare. Sulla spinta di questo successo, il concetto di Etf venne ripreso anche negli Usa. Infatti, una volta superati tutti gli ostacoli normativi e regolamentari, nel 1993 naque quello che viene considerato il primo tra gli Etf moderni: lo SPDRs Etf S&P 500, promosso da State Street Global Advisors, unico nel suo genere perchè offriva la stessa performance del benchmark e soprattutto perchè aveva commissioni molto basse e quindi era accessibile a tutti.

Pertanto, gli Etf sono nati da un forte bisogno di liquidità, simile a quello che spinse altre innovazioni nel passato. Tuttavia, questo non basta a spiegare l’enorme successo raggiunto negli anni a venire. Per farlo, occorre capire cosa è accaduto ai fondi tradizionali.

Quanto è dura fare performance
All’inizio, i fondi comuni sono stati creati per convenienza, perché i singoli investitori non avevano il capitale necessario per la costruzione di portafogli ben diversificati, nonché il know-how per investire il capitale. I gestori di fondi comuni avevano quindi il compito non solo di salvaguardare i loro beni, ma di realizzare anche un ragionevole rendimento. Col passare del tempo, però, le performance dei fondi comuni sono stati soggetti a molte analisi e critiche.

Nel corso degli anni ’70, alcune ricerche pubblicate da Burton Malkiel e da altri hanno dimostrato che i fondi gestiti attivamente, in media, sottoperformano il proprio benchmark. Come risposta a queste teorie, nel 1975 Jack Bogle ha lanciato il primo fondo indicizzato. In un primo momento, l’approccio di Bogle venne ridicolizzato dalla comunità finanziaria.

Tuttavia, le ricerche accademiche non mentivano. Nel corso del tempo, la preponderanza dei fondi comuni gestiti attivamente tendono davvero a sottoperformare il mercato. Per molti investitori, quindi, l’emergere di fondi comuni indicizzati ha spostato l’attenzione dal tentativo di sovraperformare il mercato a cercare di ottenere la performance dell’indice. Questa strategia è conosciuta come “gestione passiva”. Grazie alla loro struttura, gli Etf sono strumenti ideali per replicare passivamente un segmento di  mercato, e nel corso del tempo sono diventati una solida alternativa ai fondi indicizzati, grazie soprattutto alla possibilità di essere scambiati in Borsa.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Lee Davidson  è Head of Manager and Quantitative Research di Morningstar.

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