Illiquido non è brutto e cattivo

Uno studio di Ibbotson mostra che le azioni meno scambiate possono generare extra-rendimenti. Perché per quelle più gettonate si paga il prezzo pieno.

Sara Silano 07/04/2011 | 15:29
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L’ultimo shock dei mercati ha ridisegnato i contorni di molti termini finanziari, tra cui quelli di “rischio” e “volatilità”. Non solo, sono nate strategie per trarre vantaggio dai nuovi scenari, caratterizzati da eventi estremi che si verificano con sempre maggior frequenza rispetto al passato. L’ultima frontiera di investimento, però, è rappresentata dalla liquidità.

La crisi ha provocato una fuga dagli strumenti negoziati con meno frequenza e difficilmente smobilizzabili una volta inseriti in portafoglio. In genere, il riferimento va al private equity e all’immobiliare, tuttavia anche le azioni possono essere/diventare illiquide in determinate fasi del ciclo di Borsa. A partire dal 2010, Ibbotson, società del gruppo Morningstar, ha cominciato a studiare il fenomeno, in particolare in relazione al mercato azionario. La conclusione è stata che l’illiquidità può generare un rendimento aggiuntivo.

A sconto
Il tema è stato dibattuto anche nel corso dell’ultima Morningstar European conference di Vienna. Il concetto è semplice. Gli asset più liquidi sono quotati a premio, ossia per acquistarli si deve pagare il prezzo pieno, perché ci sono tanti potenziali compratori. Per contro, i titoli meno liquidi sono a sconto, perché gli offerenti hanno difficoltà a trovare degli acquirenti, un po’ come avviene con le svendite. Ottenere un titolo a sconto significa realizzare un guadagno superiore rispetto a quando si paga il prezzo pieno.

Dunque, sono da preferire le azioni meno scambiate a quelle più note? Le probabilità di pagare un prezzo pieno sono sicuramente maggiori per le società di cui si parla di più rispetto a quelle meno conosciute. Ma il criterio della liquidità non può essere il solo utilizzato nelle scelte di investimento. Vale sempre il principio di “comprare sui fondamentali”, ossia di scegliere le aziende più solide, ma nello stesso tempo si può ottenere un extra-rendimento se si opta per quelle meno liquide.

Rischio/rendimento/liquidità
Per 60 anni è stata studiata la relazione tra rischio e performance, mentre poca attenzione è stata riservata al rapporto tra la liquidità e i rendimenti. Oggi questo aspetto sta entrando nelle strategie di investimento, come fonte di alpha, ossia è un fattore che può generare valore aggiunto. Come dice Roger Ibbotson, professore di finanza alla Yale school of management e fondatore dell’omonima società, è chiaro che se si diffonderà tale pratica tra gli operatori, nel tempo diventerà un beta, ossia qualcosa che usano tutti ed è quindi parte del mercato. Ma questo momento non sembra ancora vicino.

La crisi ha insegnato che l’illiquidità è un rischio, perché può bloccare la movimentazione del portafoglio o impedire all’investitore di cogliere delle opportunità. Vale la pena correrlo solo se è pienamente remunerato, come insegna Mark Taborsky, portfolio manager di Pimco, il quale limita l’esposizione alle strategie illiquide agli investimenti con alpha elevato. Tuttavia, gli studi di Ibbotson mostrano anche che è fonte di extra-rendimenti. Analogamente alla volatilità, bisogna saperla prendere.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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