Le false certezze del barile

La ripresa dei prezzi del petrolio può spingere i produttori a investire in nuovi giacimenti riportando sul mercato un eccesso di offerta. Fra i fondi c’è chi si difende anche quando le quotazioni scendono. 

Marco Caprotti 15/03/2017 | 10:05
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Meglio non farsi ingannare dal petrolio. E nemmeno dalle scelte dell’Opec. Il cartello dei produttori a novembre dell’anno scorso ha deciso di tagliare l’estrazione di 1,2 milioni di barili al giorno per i primi sei mesi del 2017. Da allora il prezzo dell’oro nero è salito di circa il 17%. “Il problema è che questo crea un falso senso di sicurezza nei produttori che vogliono investire in nuovi giacimenti per approfittare della corsa del barile”, spiega Dave Meats, analista di Morningstar.

In sostanza si potrebbe tornare in breve tempo a una situazione di sovrapproduzione, anche considerando che da maggio 2016 nei soli Stati Uniti (che non fanno parte dell’Opec) il numero dei nuovi pozzi è raddoppiato. “Questo non ha avuto ancora impatto sulla produzione, ma solo perché ci vogliono almeno sei mesi, dalle prime trivellazioni, per ottenere un impianto a regime”, dice l’analista. “I volumi generati dalle nuove estrazioni faranno vedere i loro effetti a metà del 2017”. Da punto di vista dell’Opec, la strategia dei tagli sembra funzionare visto che le riserve, a livello mondiale, stanno scendendo. Secondo le previsioni torneranno ai livelli precedenti la discesa dei prezzi alla fine di giugno (quando l’accordo fra i membri del cartello dovrebbe cessare). “A quel punto è possibile che venga rinnovato”, dice Meats. “Ma questa non è una buona notizia. Se i prezzi dovessero salire ancora, i produttori sarebbero incentivati a estrarre di più. In uno scenario del genere si potrebbe arrivare a una nuova situazione di sovrapproduzione già nel 2018”.

Chi si difende?
In questo scenario, non è necessario abbandonare del tutto gli asset petroliferi. Ci sono alcuni fondi, infatti, che riescono a difendersi bene anche nei periodi in cui il barile soffre di più. Fra quelli venduti in Italia, gli analisti di Morningstar indicano Guinness Global Energy C EUR Acc (Analyst rating Silver). “Il gestore Tim Guinness ha un track record impressionante che si è costruito prima con Investec GSF Global Energy e poi con Guinness Global Energy”, spiega Fatima Khizou, fund analyst di Morningstar. “Dal lancio, l’unico momento in cui il fondo ha dovuto inseguire il benchmark è stato il 2011 a causa del sottopeso che aveva nel segmento degli energetici integrati che, di solito, sono considerati un asset difensivo nei momenti di sentiment negativo da parte degli investitori. In ogni caso lo strumento ha dimostrato di funzionare bene quando gli operatori hanno una maggiore tolleranza al rischio. Lo si è visto chiaramente nel 2013 quando il comparto ha dato solidi rendimenti assoluti superando abbondantemente sia l’indice di riferimento che la categoria”.

BGF World Energy C2 ha un Analyst rating Bronze. “Le partecipazioni sono scelte dal team in un'ottica di lungo termine e normalmente il portafoglio è diversificato in sei sotto-settori: energia integrata, E&P petrolio e gas, servizi petrolio e gas, raffinazione, distribuzione ed energia alternativa (anche se quest'ultima è solo una piccola quota del portafoglio)”, spiega Khizou. “A ottobre 2016 il team continuava a preferire la qualità, concentrandosi su produttori a basso costo che possono adattarsi a un contesto di basso prezzo del petrolio. Nel 2016, fino a fine ottobre il fondo ha sottoperformato l'indice ma superato marginalmente i fondi omologhi. Una sovra-ponderazione nel settore E&P, che ha realizzato una buona performance, ha contribuito ai rendimenti”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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