L’auto sbanda in Cina

Il rallentamento della prima economia emergente, la svalutazione dello yuan e la frenata della Borsa faranno calare ancora le vendite dei marchi europei nel paese. Ma le stime sul fair value dei titoli, per il momento, non ne risentono. 

Marco Caprotti 08/09/2015 | 15:10
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La Cina sta tirando il freno al settore auto europeo. Ma gli investitori, almeno per il momento, possono fare a meno allacciare le cinture di sicurezza. Il rallentamento della prima economia emergente del mondo, unito alla decisione della Banca centrale del paese di svalutare lo yuan e alla crisi della Borsa, infatti, rischia di limitare ulteriormente la propensione alla spesa dei cinesi per le quattroruote. “Circa il 90% degli acquisti di auto nuove del paese sono fatti in contanti”, dice Richard Hilgert, analista azionario di Morningstar. “La perdita di ricchezza che si sta vedendo in questo periodo potrebbe spingere i consumatori a rimandare la decisione di cambiare veicolo”.

Incentivi e corruzione
La situazione è complicata dal fatto che Pechino, a differenza che in passato, non sembra avere intenzione di mettere in campo provvedimenti per invogliare all’acquisto. Nel 2009-2010, ad esempio, il governo ha concesso dei sussidi, sotto forma di trattamenti fiscali favorevoli, a chi ha acquistato auto nuove. Un provvedimento simile è stato adottato nelle aree rurali per incentivare l’eliminazione dei mezzi agricoli più inquinanti. Questa volta non si vede niente di simile, a parte qualche facilitazione per comprare veicoli elettrici.

Nel frattempo gli acquirenti preferiscono sostare davanti alle vetrine dei saloni. Il peggioramento del quadro macro cinese sta spingendo i produttori ad abbassare i listini e molti aspettano di vedere ulteriori riduzioni dei prezzi prima di varcare le porte delle concessionarie. “Il fenomeno è particolarmente evidente nel segmento delle auto di lusso, dove le cifre sborsate sono state sempre più altre rispetto agli altri mercati mondiali”, spiega Hilgert. “In particolare, quest’anno sul comparto ha pesato il pugno di ferro del governo per combattere la corruzione. Molti membri del Partico comunista, da sempre fra i principali acquirenti di auto di alto livello, hanno preferito desistere per paura di controlli sul loro stato patrimoniale”. 

Le valutazioni con cambiano
La buona notizia, almeno per gli investitori, è che tutta questa situazione non dovrebbe avere un impatto pesante sulle valutazioni dei titoli delle società dell’auto quotate in Borsa. “I nostri modelli di analisi hanno sempre tenuto conto di previsioni sulle vendite in Cina più basse di quelle del resto del mercato”, spiega l’analista di Morningstar. “Ad esempio: il top management di Ford ha detto recentemente che, alla fine di questo decennio, il mercato cinese conterà 30 milioni veicoli venduti, rispetto ai 23 milioni di oggi. Noi continuano a credere che, nello stesso periodo, non si andrà oltre i 26-28 milioni”.

C’è poi da considerare che i produttori auto stranieri possono operare in Cina solo attraverso delle joint venture con aziende locali. In molti casi le operazioni nel paese non vengono consolidate nei bilanci, per cui i rallentamenti nelle vendite hanno uno scarso impatto sulle stime dei conti per arrivare al fair value dei titoli. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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