Un compromesso non salva dal precipizio

L'accordo fra Obama e il Congresso per evitare il fiscal cliff non elimina il pericolo recessione. Servono altri aggiustamenti o il problema si ripresenterà. La ripresa è ancora fragile. 

Marco Caprotti 03/01/2013 | 13:41
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Gli Usa sono ancora sull’orlo del precipizio fiscale. Solo che adesso è meno profondo. Gli americani dovranno, comunque, rimettere mano all’accordo siglato per evitare il fiscal cliff che, con tagli alla spesa per complessivi 1.200 miliardi e incrementi delle tasse per tutti, avrebbe portato il paese in recessione a partire da quest’anno. Finire nel burrone, insomma, potrebbe essere solo una questione di tempo.

La Camera ha dato l’ok alla legge con 257 voti favorevoli e 167 contrari, mentre al Senato, riunitosi per la prima volta in oltre 40 anni nella notte di San Silvestro, la maggioranza è stata schiacciante (89 sì e otto no). In sintesi, l’intesa prevede un aumento delle tasse per i ricchi con redditi superiori a 400 mila dollari l’anno ed evita il taglio automatico della spesa di 109 miliardi di dollari per due mesi. C’è anche un aumento dal 35% al 40% della tassa di successione sulle eredità superiori ai 5 milioni e un aumento dal 15% al 20% delle tasse sui guadagni di capitale per chi ha un reddito superiore ai 450mila dollari. Sono stati rinviati, per il momento, i provvedimenti sui tagli alla spesa e soprattutto quelli sul rinnovo del tetto sul debito, che scadrà a fine febbraio. “Firmerò una legge che alza le tasse sui più ricchi - il 2% degli americani - ed evita di colpire la classe media, cosa che avrebbe potuto portare il paese in recessione”, ha detto il presidente, Barak Obama, nella conferenza stampa dopo il voto finale. “Il deficit deve essere ridotto in modo equilibrato, ognuno farà la sua parte”.

Cosa resta da fare
E di lavoro gli americani ne hanno ancora molto. “L’accordo raggiunto ha fatto in modo di dimezzare il fiscal cliff e sicuramente eviterà che il paese vada in recessione. Questa però non è una situazione che durerà per sempre”, spiega Bob Johnson, direttore dell’analisi economica di Morningstar. “La questione dei tagli alla spesa pubblica e della tassazione continuerà a tormentarci per i prossimi 15 anni. Il precipizio, infatti, è ancora lì: lo abbiamo ridotto, ma non lo abbiamo evitato”. Nel giro di poco più di un decennio, ad esempio, inizierà farsi sentire sui conti federali il peso dei costi della riforma sociale e sanitaria voluta dall’amministrazione Obama. “Sono questioni alle quali bisogna mettere mano subito altrimenti ci troveremo, come è successo questa volta, a dover correre per trovare una soluzione”, continua Johnson. “Ad esempio, una parte della soluzione del problema, che in questa occasione non è stata affrontata, potrebbe essere quella di alzare subito l’età pensionabile da 66 a 68 anni. Altrimenti l’amministrazione che sarà in carica dopo il 2020 dovrà portarla da un giorno all’altro a 70 anni, con tutte le conseguenze, anche politiche e sociali che questo comporterebbe”.

I dubbi
Anche le agenzie di rating non sembrano molto convinte. “L’accordo approvato dal Congresso Usa per evitare il fiscal cliff è un ulteriore progresso per definire il percorso del deficit e del debito nel medio termine, ma non fornisce la base per miglioramenti significativi nel rapporto debito-Pil”, recita un comunicato di Moody’s che si aspetta nei prossimi mesi altre misure fiscali per ridurre il deficit e il debito, in modo da evitare ripercussioni negative sul rating. Perplessità sono state espresse anche dal Fondo monetario internazionale. “Senza l’intervento del Congresso la ripresa economica si sarebbe incagliata”, ha detto il portavoce dell’Fmi, Gerry Rice, secondo cui sono stati fatti “pochi progressi per affrontare il nodo del deficit e della necessità di innalzare la soglia del debito per poterlo sostenere. C’è ancora molto da fare per riportare i conti pubblici americani ad un livello di sostenibilità senza compromettere la ancora fragile ripresa. Bisogna approvare al più presto possibile un piano che assicuri sia un aumento delle entrate che il contenimento della spesa nel medio termine”.

Dal punto di vista operativo la situazione per l’equity potrebbe rivelarsi più difficile rispetto al 2012. “Ci sono un mucchio di punti interrogativi rimasti senza risposta”, dice Jeremy Glaser, analista di Morningstar. “La questione del fiscal cliff resta aperta, mentre la crisi in Europa potrebbe riaccendersi in ogni momento. La crescita dei mercati emergenti, intanto, non è garantita. In questo quadro, il 2013 del mercato azionario potrebbe ritrovarsi seduto su un’altalena”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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