La Grecia non basta

Il via libera agli aiuti per Atene, dicono gli operatori, è solo un passo sulla strada per uscire dalla crisi. Resta da risolvere il problema, legato all'euro, della crescita della regione. 

Marco Caprotti 29/11/2012 | 12:10
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Un passo nella direzione giusta, ma la strada è ancora lunga. Così, in generale, gli operatori giudicano l’ultima riunione dell’Eurogruppo in cui è stato dato il via libera agli aiuti per la Grecia. Il piano prevede lo sblocco di capitali per un totale di 43,7 miliardi di euro e la riduzione del debito pubblico al 124% nel Pil entro il 2020 e sotto il 110% nel 2022. Questo attraverso una serie di misure come il riacquisto da parte di Atene di una quota dei bond in circolazione, la riduzione significativa dei tassi di interesse sui prestiti bilaterali e delle commissioni sui prestiti Efsf, l’allungamento di 15 anni della durata dei rimborsi e il rinvio di 10 anni dei pagamenti degli oneri.  “L’Eurogruppo ha fatto quello che il mercato si aspettava”, spiega Pierre Puybasset, membro dell’Investment committee di Financière de l’Echiquier. “La possibilità che la crisi ellenica infettasse anche il resto del Vecchio continente era troppo alta. Ora però bisogna mettere mano agli altri problemi della regione”. Fra questi c’è un andamento eterogeneo dell’area che rende più difficile, a livello politico, prendere decisioni nell’interesse comune.

Lo scenario macro
La stima preliminare degli indici Pmi di novembre non ha mostrato particolari variazioni rispetto a ottobre, con il Pmi (Purchasing manager index, l’indice formato dalle indicazioni fornite dai direttori degli acquisti) composito area Euro che è passato da 45,7 a 45,8. Per quanto riguarda i singoli paesi, in Germania l’andamento è stato uguale a quello generale europeo, con manifatturiero in salita a servizi in calo. In Francia, invece, si sono avute indicazioni positive su entrambi i lati, con i due indici che hanno recuperato dai minimi fatti segnare a ottobre. L’indice Ifo tedesco (che misura la fiducia delle imprese del paese), nel frattempo, è salito a sorpresa a 101,4 a novembre, da 100 di ottobre e contro attese di 99,5. In particolare il rimbalzo è legato alla componente aspettative (+2 punti a 95,2), che comunque si mantiene su livelli bassi, mentre quella “situazione corrente” sale a 108,1.  La fiducia dei consumatori elaborata dalla Commissione europea, intanto, è scesa ancora, a -26,9, riportandosi sui minimi del 2009. Quella dei consumatori italiani è tornata a scendere, a 84,8 da 86,2, toccando i minimi assoluti dall’inizio della serie (1982). In Francia la fiducia delle imprese è migliorata più delle attese, a 88 da 85, recuperando il calo di ottobre. Stabile invece la fiducia dei consumatori, a 84. In calo, infine, la fiducia dei consumatori tedeschi, da 6,1 a 5,9. Stabili le vendite al dettaglio in Italia a settembre, +0,1% rispetto al mese precedente, con il dato annuale a -1,7%.

Per quanto riguarda l’intera Eurozona, l’attenzione degli operatori è stata catalizzata anche dall’ultimo Outlook dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Le stime Ocse prevedono a un calo del Pil dello 0,4% nel 2012 (da -0,1%), -0,1% nel 2013 (da +0,9%) e un incremento dell’1,3% nel 2014.

L’euro amplifica le differenze
Ma cosa determina queste differenze in economie che, in fin dei conti condividono la stessa moneta? “La prima lezione che ho imparato dal mio professore di economia riguarda il concetto di mano invisibile”, spiega uno studio di Richard Woolnough, gestore di M&G Optimal Income “Introdurre una moneta unica è come legare dietro la schiena la mano invisibile che agisce attraverso i tassi di cambio. Siccome la moneta unica è alla radice del problema, la soluzione più ovvia è smantellarla. Ma questa scelta potrebbe avere enormi ripercussioni e i leader europei non sono pronti a fare un passo simile. Non perché sia inefficace, ma perché hanno sposato l’idea politica ed economica che sta dietro la moneta unica. Così, le economie più deboli si ritrovano con un tasso di cambio troppo alto, le più forti con uno troppo basso. La mano invisibile non può agire liberamente sui mercati dei cambi. L’esito più probabile è quindi la divergenza e non la convergenza economica”.

Un economista, studiato a fondo nelle università, è John Maynard Keynes e la sua idea è che il governo debba ricorrere al deficit di bilancio in funzione anticiclica. “In Europa, invece, le economie più fragili sono costrette a un maggiore rigore fiscale attraverso la riduzione del disavanzo pubblico” continua Woolnough. “Così facendo, i deboli diventeranno ancora più deboli, mentre i forti si rafforzeranno”. La terza lezione di economia di solito è sulla politica monetaria: un taglio dei tassi di interesse favorisce i consumi e la crescita. “In Germania, il meccanismo di trasmissione relativo alla stipula di ingenti prestiti a bassi tassi di interesse funziona sia per lo Stato, sia per imprese e privati”, spiega il gestore. “Nelle economie in difficoltà, invece, il costo di finanziamento è elevato e la disponibilità limitata per chiunque: Stati, imprese, privati. Insomma, il meccanismo di trasmissione non funziona allo stesso modo nei vari paesi europei. I forti, anche in questo caso, diventeranno ancora più forti, i deboli si indeboliranno”.

Le scelte operative
“Poiché la situazione macroeconomica in Europa continua a oscillare tra il successo e il fallimento dei vari summit politici e la volontà dei governanti di supportare i mercati e l’economia, vorremmo non essere tormentati ogni giorno dai titoli di giornale, sui quali ormai non c’è alcun controllo”, dice Richard Pease, responsabile European equities di Henderson Global Investors sui mercati azionari in Europa. “Noi manteniamo il nostro focus su aziende di livello internazionale con valutazioni interessanti e buone prospettive di crescita nei mercati globali, caratterizzate da flussi in entrata ricorrenti e stabili, elevato potere di fissare i prezzi di mercato, buoni modelli di business e management di comprovata esperienza”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Puybasset di Financière de l’Echiquier. “Ci sono zone del mondo, come l’Asia la Cina e l’India dove la crescita non è più quella di una volta, ma procede comunque a tassi interessanti”, spiega. “Sono aree dove i nomi europei sono molto forti. Il fatto che queste aziende siano quotate nel Vecchio continente permette di mettere in portafoglio a valutazioni interessanti titoli di aziende che grazie alla loro esposizione in quelle zone vedranno migliorare i conti”. 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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