Svolta inglese per la consulenza fee only

Sarà l’unico modello ammesso in Inghilterra. In Italia, il mercato fa fatica.

Azzurra Zaglio 29/11/2012 | 12:09
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L’Inghilterra si prepara alla svolta fee only. Dal 1° gennaio 2013, il modello di consulenza sarà solo quello indipendente. Si conclude, quindi, un percorso regolamentare iniziato negli anni Ottanta, che ha portato allo sviluppo di una professione che oggi è svolta da più di 28 mila professionisti.

Ma il cambiamento previsto in Inghilterra, comporterà un big bang anche in Italia e nel più generale dibattito comunitario sulla revisione della Mifid proposta dalla Commissione europea? Certo è che l’Europa è divisa tra nord e sud anche sul fronte consulenza: da una parte il Regno Unito, l’Olanda, la Danimarca e la Svizzera sono convinti della necessità di proibire retrocessioni e dall’esigenza di una consulenza autonoma, scevra dai conflitti di interesse; dall’altra paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna rimangono sistemi prevalentemente fondati sulla retrocessione, dove la consulenza indipendente fatica ad affermarsi.

Lo sportello perde terreno
Secondo uno studio di Kpmg Advisor, dal punto di vista della distribuzione italiana, gli sportelli bancari stanno subendo perdite di quote di mercato (dal 45% di copertura nel 2007, al 36% di fine 2011) e la tendenza, secondo le loro previsioni, sarà confermata anche negli anni a venire (34% nel 2014).  

È probabile che il calo di questo canale porti a una maggiore attenzione verso la consulenza. Ciò implica però l’esigenza di una percezione da parte dell’investitore del valore aggiunto di questo tipo di servizio (in termini di qualità, professionalità, responsabilità, trasparenza e indipendenza del soggetto), che si traduce in una commissione da pagare direttamente al consulente. Sentiment ancora poco diffuso, osservabile più tra i risparmiatori con un’età media superiore ai cinquanta anni. 

Dal chiuso all’aperto assistito
Nell’ottica di una revisione del classico modello distributivo fabbrica-rete (ossia banca e suoi prodotti), la maggior parte degli operatori del risparmio gestito interpellati da Kpmg ritengono che il modello più adatto a un’evoluzione del settore sia quello aperto assistito, con il ricorso a servizi di pura negoziazione e di advisory no commission based, in forma congiunta o disgiunta. Al contrario, quello attualmente prevalente, basato su accordi di collocamento tra produttore e distributore (modello chiuso) è visto come poco o per nulla idoneo, così come il modello aperto diretto che prevede l’impiego di piattaforme di sola negoziazione da parte diretta del cliente. Il limite principale del modello chiuso è la sua forte dipendenza dalle strategie dei collocatori e i possibili conflitti di interesse tra produttori e collocatori.

Poca consulenza
In quanto alle modalità di diffusione dei servizi di advisory fee based, però, le opinioni si spaccano. Poco più del 50% pensa che l’offerta fee based si possa affermare all’interno degli attuali modelli distributivi dove il servizio di consulenza, con un prezzo esplicito, si affianca a quello del collocamento. Mentre il 41% è convinto che si affermeranno fuori dai circuiti tradizionali, mediante operatori e professionisti altamente specializzati, del tutto distinti dalle reti distributive tradizionali (fee only).

Oggi, comunque, sono ancora poche le aziende che offrono servizi di consulenza fee based e l’incidenza sulle masse gestite è limitata rispetto all’attività di gestione. Infatti, dei 30 principali operatori dell’industria, che rappresentano circa il 75% degli asset under management gestiti in Italia, soltanto il 36% di loro ha attivato un servizio di advisory fee based e per il 67% quest’attività si limita a poco meno del 10% del totale delle masse gestite.

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Info autore

Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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