Usa e Cina al centro del mondo

Nelle ultime settimane le due aree hanno attirato l'attenzione per motivi politici. Ora, mentre la crescita globale fatica, le questioni diventano economiche. 

Marco Caprotti 20/11/2012 | 17:16
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I mercati mondiali tirano il freno. L’indice Msci World nell’ultimo mese ha perso l’1,3%, anche se la performance da inizio anno resta positiva per il 12%. L’andamento del paniere nelle ultime settimane è il riflesso del peggioramento dello scenario macro e dei dubbi che circondano le prospettive di ripresa economica globale. Tutti elementi che si sono visti nelle foto scattate dalle diverse regioni relative al periodo luglio-settembre. Nel terzo trimestre l’economia mondiale ha rallentato ancora, risentendo dell’indebolimento dell’attività sia nei paesi avanzati sia in quelli emergenti mentre il commercio internazionale ha perso vigore. Sulle attese di crescita pesa l’incertezza in merito alla politica di bilancio negli Stati Uniti, all’evoluzione della domanda nei paesi emergenti e agli sviluppi della crisi del debito sovrano nell’area euro. Le principali banche centrali, intanto, hanno intensificato l’azione espansiva. Un’operazione che si fa quando la congiuntura, da sola, non riesce a darsi la spinta.

Occhi su Usa e Cina
Nelle settimane scorse l’attenzione degli operatori internazionali si è concentrata prima sugli Stati Uniti, dove si sono tenute le elezioni presidenziali, e poi sulla Cina dove si è svolto il XVIII congresso del partito comunista da cui è uscita la struttura che guiderà la prima economia emergente nel prossimo decennio. Per quanto riguarda gli Usa il fatto più importante del periodo è stato rappresentato dalla vittoria di Barack Obama nella corsa per la Casa Bianca. Dallo scontro con lo sfidante Mitt Romney è uscito però un paese diviso, dove il partito del presidente controlla il Senato, mentre la Camera dei rappresentanti è in mano ai repubblicani. Una situazione difficile, soprattutto se si considera che entro la fine dell’anno dovrà essere trovata una soluzione al deficit statale che rischia di far precipitare il paese in un precipizio fiscale (il cosiddetto fiscal cliff) da oltre 600 miliardi di dollari.

In attesa che si trovi una soluzione gli operatori ragionano sui numeri macro. Il Pil americano nell’ultimo trimestre è salito del 2%. Le previsioni indicavano una crescita dell’1,8-1,9%. Nel trimestre precedente la crescita era rimasta al palo, segnando un +1,3%. L’accelerazione ha riportato il Pil statunitense sui livelli dei primi tre mesi dell’anno, pur restando al di sotto del livello indicato dalla Federal Reserve per innescare una drastica riduzione della disoccupazione, a settembre comunque scesa al 7,8%. Il Dipartimento al commercio ha spiegato il balzo del terzo trimestre con un aumento dei consumi delle famiglie americane e della spesa pubblica, soprattutto nel settore della difesa. Gli investitori, comunque, dovranno fare i conti con gli effetti del ciclone Sandy, uno dei dieci uragani più costosi della storia americana, che ha creato danni stimati in 50 miliardi di dollari (secondo alcuni calcoli che considerano anche la perdita di output potrebbero arrivare a 100 miliardi). 

In Cina la nuova guida del paese, formata da sette leader con a capo il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang, dovrà tenere fede al patto non scritto secondo cui la popolazione rinuncia alla democrazia in cambio della crescita economica. Rispettare l’accordo non sarà semplice, visto che lo scenario in cui si muove il Dragone sta cambiando. Negli ultimi mesi il Paese ha registrato un peggioramento del quadro congiunturale. L’incremento tendenziale del Pil è sceso al 7,6% nel secondo trimestre (circa due punti percentuali in meno rispetto allo stesso periodo del 2011 e il valore più basso dall’inizio del 2009). La decelerazione riflette fattori sia interni sia esterni: i primi nascono dagli interventi restrittivi di politica monetaria attuati dalla fine del 2010 in reazione all’aumento dei prezzi immobiliari, nonché dall’attenuarsi degli effetti delle misure di bilancio espansive varate nel biennio 2008-09 per fronteggiare gli effetti della crisi globale. I secondi risentono del deterioramento della domanda estera, soprattutto di quella europea. Tutto questo ha indebolito i due tradizionali elementi di traino della crescita cinese: investimenti ed esportazioni. Nel primo semestre del 2012 il contributo alla crescita derivante dall’accumulazione di capitale è sceso al 3,9% (dal 5,1%) e l’apporto delle esportazioni nette è stato negativo (-0,6 punti percentuali, da -0,1 nella prima metà del 2011), a fronte di una sostanziale stabilità del contributo dei consumi (4,5%).

I rischi
Le attese sulla crescita dell’economia globale nel biennio 2012-13 sono state riviste al ribasso. Secondo le più recenti proiezioni del Fondo monetario internazionale il prodotto mondiale aumenterebbe del 3,3% quest’anno e del 3,6% il prossimo (3,8% nel 2011). Il rallentamento nel 2012 sarebbe riconducibile in larga parte all’indebolimento dell’attività economica nell’area dell’euro e nei paesi emergenti. L’andamento del Pil sarà fortemente eterogeneo: in entrambi gli anni, esso dovrebbe espandersi a ritmi inferiori al 2% nell’insieme dei paesi avanzati e superiori al 5% nel complesso delle economie emergenti. Le prospettive dell’economia mondiale sono soggette a rischi elevati, connessi con l’incertezza riguardo all’evoluzione della crisi del debito sovrano nell’area dell’euro, con l’intensità del rallentamento dell’attività nelle economie emergenti e con il fiscal cliff americano Ulteriori rischi al ribasso derivano dalla possibilità di forti rincari del greggio a seguito dell’acuirsi delle tensioni in Medio oriente.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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