Arte cinese in bolla

L’ex celeste impero è il più grande mercato al mondo. Ma come per i mercati finanziari, gli eccessi non pagano.

Azzurra Zaglio 08/11/2012 | 10:50
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Il mercato dell'arte continua a crescere nonostante la crisi. Una versione dell'Urlo di Munch è stata pagata 119 milioni di dollari. Segno che il settore, come direbbero gli economisti, è anticiclico, in controtendenza rispetto all'andamento degli altri mercati. Segno che esistono sempre più nuovi super ricchi desiderosi di diversificare il portafoglio, convinti che l'arte sia un bene rifugio. Certo, il valore di una tela di Picasso fluttua molto meno rispetto alle azioni di Facebook, ma la redditività sul lungo termine dell'investimento in arte rispetto ad altri beni, non è stata mai davvero scientificamente provata.

Soprattutto la Cina - si dice - è diventata il più grande mercato di arte e antichità del mondo, sorpassando gli Usa. I grandi affari non si realizzeranno più nelle storiche piazze di New York e Londra, bensì a Pechino e Hong Kong. Dall’ultimo report di Banca Monte dei Paschi di Siena, l’Art market report, che analizza le performance di questo mercato negli ultimi sei anni, emerge che Pechino e Hong Kong sono le nuove piazze globali dell'arte. Gli analisti evidenziano tre determinanti fondamentali dell'exploit asiatico: la forte domanda di collezionisti cinesi che sostengono il mercato locale; quattro artisti cinesi compresi nei primi dieci top lot del 2011 per il segmento contemporaneo e l'incremento della quota di fatturato battuto alle aste in oriente, cresciuto dal 2,6% del 2006 all’11,8% del 2011. L’incremento è stato anche favorito dalle condizioni di esenzione fiscale sull’import ed export delle opere, dallo stato di porto franco e da un maggior livello di liberalizzazione presente in molte delle maggiori piazze commerciali dell'oriente.

La Cina butta giù dal podio gli Usa
Con un balzo in avanti del 64% sull’anno precedente, il mercato cinese nel 2011 è diventato il primo nel mondo, con una quota percentuale del 30% per valore (circa 14 miliardi di euro) e del 25% per volumi di fatturato. È un evento storico, poiché per la prima volta dal 1945 gli Usa hanno perso la leadership mondiale (29% la loro quota, nel 2011). Nel 2004, agli albori della cavalcata, la Cina fatturava circa il 4% del mercato mondiale, percentuale salita all’8% nel 2007 (3,8 miliardi di euro), prima della crisi, che in quel paese ha rappresentato un’occasione di consolidamento. Il 70% del fatturato proviene dalle vendite in asta (nel mondo occidentale la percentuale oscilla fra il 30 e il 50%), che nel 2011 hanno raggiunto ufficialmente il valore di 9,8 miliardi di euro, il 42% delle aggiudicazioni mondiali. La pittura cinese moderna e contemporanea, insieme alle arti decorative, raccolgono i favori del mercato, che qui premia soprattutto l’arte locale. Le statistiche del 2010 relative agli scambi internazionali di artefatti, infatti, evidenziano che il peso degli operatori cinesi è ancora quasi trascurabile sui flussi commerciali, sia in ingresso (600 milioni di euro in valore, quasi il 5% delle importazioni mondiali), sia in uscita (350 milioni di euro, cioè il 2,5% delle esportazioni globali). In sostanza, la Cina è un enorme mercato autarchico.

Cercando un nesso con il passato
James Xiong, senior research consultant di Morningstar Investment Management, ha indagato questo fenomeno di crescita del mercato cinese, riscontrando una familiarità con quanto accadde nelle bolle speculative del passato. Molto spesso, infatti, i prezzi degli asset divergono dal valore reale di mercato. Questo scostamento tra il fair value di un titolo e il suo prezzo fondamentale di mercato dipende da diversi fattori, quali un’errata interpretazione degli investitori del vero valore intrinseco, oppure perché gli operatori seguono le mosse di altri operatori (herding behaviour), ossia scommettono in free riding, limitandosi a osservare ciò che altri operatori fanno o dicono perché credono che tali soggetti siano investitori qualificati, diligenti che analizzano costantemente l’andamento di quel particolare asset.

Sta succedendo la stessa cosa anche per il mercato dell’arte in Cina? L’ultimo decennio ha creato nuova ricchezza in Cina e la crescente domanda di arte ha fatto innalzare i prezzi. L’aumento dei prezzi a sua volta ha attratto ulteriori investitori in arte, speculatori che vogliono cavalcare l’onda del momento. Credendo di poterne trarre buoni profitti, mirano a rivendere a prezzi più alti di quelli pagati. È un gatto che prima o poi si morde la coda e la storia ce lo insegna. Ma allora perché non identificare in anticipo i fattori che porteranno allo scoppio di questa bolla?

Seguire il gregge spesso non paga
L’idea alla base è che l’herding behaviour, seguire in massa uno stesso comportamento, può portare a forti variazioni di domanda aggregata con pesanti conseguenze nella distribuzione dei rendimenti. Nella letteratura, l’effetto folla è sempre stato associato ad ampie fluttuazioni dei prezzi di mercato degli asset. Già nel 2000, Shiller, contro ogni modello economico razionale, di fronte al mercato azionario statunitense a un livello troppo elevato, non giustificabile dalle variabili fondamentali, parlava di “irrazionale esuberanza” elencando 12 fattori precipitanti che, alimentati anche dai media, possono condurre alla caduta del mercato. Egli, infatti, dimostra che anche fattori psicologici e comportamentali hanno effetti importanti (come l’influenza delle autorità sugli individui, i quali tendono a credere loro anche quando sono chiaramente in contraddizione con i dati di fatto, oppure l’acquisto di titoli sul passaparola e sulla fiducia di altre persone, anziché sulla base di una ricerca indipendente).

Prevedere le bolle si può
La scoperta di una tendenza dei prezzi delle azioni nel seguire leggi algoritmiche prima di un crash è stata già fatta nel 1990 da due gruppi di ricercatori. L’assunto di partenza è che i crolli finanziari siano esempi macroscopici di fenomeni critici, dove per critico si intende correlato a un mercato fortemente instabile. Questo modello log-periodic power law (LPPL) ha due caratteristiche principali: una super crescita esponenziale che conduce a un momento critico in cui il prezzo dell’asset scoppierà (power law) e delle oscillazioni progressivamente più veloci con l’avvicinarsi del momento critico (log-periodic). La crescita esponenziale è segnale che tali prezzi non sono sostenibili e il comportamento oscillatorio è sintomo di un sistema traballante, spesso associato anche ai cambiamenti del sentiment degli investitori. Seppur molto contestato, l’LPPL ha saputo spiegare i diversi crac storici, dal crollo di Wall Street del 1929, a quello del 1987, da quello del mercato russo nel 1998, al crollo dell’indice Nikkei e ai diversi crolli di Hong Kong negli anni Novanta, così come anche la bolla di Internet nel 2000. Tutti questi fenomeni mostrano un modello LPPL simile, prima del loro successivo collasso.


I crolli dell’ex impero celeste
La Cina ha già vissuto un crollo della Borsa nel 2007. Tipicamente, il mercato azionario cinese è dominato da investitori individuali, a differenza di quelli dei paesi sviluppati. Milioni di nuovi investitori privati cinesi erano entrati nel mercato nel periodo compreso tra il 2005 e il 2007, chiaro segnale di un effetto folla. La bolla scoppiò poco dopo nell’ottobre 2007, con una perdita di valore del 64% del rappresentativo Shanghai Composite Index. Se utilizzassimo il modello economico LPPL vedremmo come questo crollo fosse prevedibile attraverso le oscillazioni delle serie temporali dei pezzi dell’indice. La previsione quindi sarebbe stata giusta, anticipando di appena soli 42 giorni lo scoppio della bolla.

Tornando ora al mercato d’arte cinese, abbiamo che l’indice Chinese Painting 400 è in salita dal 2000. Secondo il modello LPPL, la curva delle oscillazioni avrebbe previsto il crollo nel giugno 2011. Quindi il mercato dell’arte cinese è già entrato nella fase pericolosa di scoppio della bolla. Fermandoci ai dati disponibili a dicembre 2011, l’indice ha perso il 5,4% nei sei mesi precedenti e il modello diceva avrebbe perso ancora nei trimestri successivi. Alla fine di giugno perdeva il 30,1%. Ciò significa che il modello ci vedeva giusto.

 

 

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Info autore

Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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