Sri, a Piazza affari è poco di casa

Gli indici di sostenibilità possono battere il Ftse Italia, ma le quotate sono meno "responsabili” di quelle europee.

Sara Silano 31/05/2012 | 14:24
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L’investimento socialmente responsabile (Sri) esce dalla logica della “buona azione” e assume la valenza di scelta di portafoglio che può essere vincente. E’ quanto emerge dal primo incontro della Settimana italiana dell’Sri, che si è svolto presso la sede italiana di Morningstar il 30 maggio, durante il quale è stata presentata la ricerca sulla sostenibilità delle aziende italiane, curata da Ecpi, società specializzata nella ricerca, rating e indici di sostenibilità.

La performance è Sri
Il confronto tra gli indici Ftse Ecpi Italia Sri, il cui paniere è composto dalle aziende quotate a Piazza Affari che hanno il rating migliore secondo parametri ambientali, sociali e di governance, e il Ftse Italia All-Share mostra che i primi hanno sovraperformato dal 2006 ad oggi. Nel complesso hanno accusato meno i colpi della crisi, con l’eccezione delle fasi più acute del 2008 e 2011. E’ vero, il periodo di osservazione è relativamente breve e i risultati passati non sono una garanzia per il futuro, ma il trend merita di essere monitorato.

Come ha detto Luca Filippa, Managing director per il sud Europa di Ftse Group, il rispetto di principi socialmente responsabili può essere determinante nella sostenibilità di un business. Si pensi ad esempio ai produttori di energia elettrica. Programmi di contenimento delle emissioni di CO2 non sono solo auspicabili dal punto di vista ambientale, ma anche determinanti per il futuro di un’azienda.

Ambiente, si può fare di più
La ricerca di Ecpi ha messo in luce che le aziende italiane ottengono un punteggio medio inferiore del 29% rispetto al resto d’Europa (il campione è composto da 107 imprese domestiche e 383 del Vecchio continente). Gli analisti hanno valutato le dimensioni ambientali, sociali e di governance. L’area di maggior debolezza è la prima, in particolare per quanto riguarda la strategia, la sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi. Fuori dai confini nazionali, c’è anche maggior attenzione nel definire rapporti con le comunità locali e nel gestire i dipendenti. Gli italiani, invece, sono più competitivi nelle relazioni con i vari attori del mercato, quali i clienti, i fornitori e la concorrenza. La convergenza nelle diverse legislazioni determina risultati analoghi nelle pratiche di governo societario.

A livello settoriale, la maglia nera va alle comunicazioni, mentre i ciclici mostrano una performance del 14% superiore alla media. Il settore energetico fa ancora meglio, con un distacco del 19%, soprattutto per le misure in campo ambientale, seguito dalle utilities. Si collocano in linea con il campione generale i finanziari. “In generale, si nota una maggiore attenzione ai temi della sostenibilità solo negli ambiti in cui i rischi e le opportunità sono più riconoscibili”, ha detto Aldo Bonati, capo della ricerca di Epci.

Sri, da costo a opportunità
I dati sintetizzano realtà diverse, ma permettono comunque di trarre alcune conclusioni sul perché l’Italia si trovi in una situazione di svantaggio rispetto all’Europa. Secondo gli autori della ricerca, una ragione potrebbe essere la dimensione media minore delle aziende italiane (in generale sono quelle più grandi che dedicano maggiore attenzione e risorse ai principi di sostenibilità). Inoltre, nel Belpaese esiste un minore incentivo a sviluppare una “cultura della sostenibilità” e le imprese sono meno trasparenti su questo tema. E’ ancora radicata l’idea che il rispetto di tali principi sia un costo, magari da tagliare in tempi di crisi e non come un’opportunità per incrementare i ricavi o ridurre i rischi. In più, è ancora ridotto il numero di investitori istituzionali che hanno adottato politiche Sri nella gestione del patrimonio.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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