Il mondo ha ancora confini

La diversificazione geografica ha meno senso con la globalizzazione. Ma è ancora un parametro da considerare, anche per l’esposizione valutaria.

Gregg Wolper 30/04/2012 | 10:48
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Esistono diverse ragioni per cui i pesi geografici nel portafoglio dei fondi comuni non hanno più l’importanza di una volta. Ma ciò non significa che queste informazioni abbiano perso ogni significato. A volte, esse possono aiutare a spiegare le performance passate, offrono una qualche anteprima dei rendimenti futuri sotto varie condizioni e spunti sul modo in cui i gestori lavorano.

Confini meno netti...
La globalizzazione ha avuto la pretesa di creare un mercato unico. Come conseguenza, le imprese ci hanno messo sempre più impegno a vendere i propri prodotti all’estero e ad aprire uffici e filiali sparse in tutto il mondo. Perciò, la sede fisica del loro quartiere generale è diventata sempre meno importante. Questo appare piuttosto logico, visto che le fortune di molte grosse società globalizzate dipendono dalle condizioni economiche e politiche di un molti paesi in cui fanno affari, non solo dal loro mercato domestico.

Qualche anno fa, l’analista di Morningstar Micheal Breen, ha pubblicato un’interessante ricerca che dimostrava come oltre metà del fatturato di moltissime società large-cap statunitensi derivasse dal business estero, così come molte società non americane dovevano i loro utili al mercato a stelle a strisce (per leggere clicca qui). Allo stesso modo, non serve certo avere la sede in un mercato emergente per poter cavalcare la crescita, come ha dimostrato Kevin McDevitt, caporedattore di Morningstar negli Usa, in un articolo di qualche tempo fa (per approfondire clicca qui). Spesso, infatti, si sentono gestori sostenere di aver acquistato una certa società proprio per la sua esposizione verso i mercati in via di sviluppo.

Questo aiuta a spiegare perché molti fondi azionari europei (ma anche statunitensi) tendono ad includere qualche azienda straniera nei loro portafogli. Questo tipo di flessibilità ha senso. Prendiamo l’esempio del colosso assicurativo Aon. Pochi mesi fa, Aon ha deciso di spostare il suo quartier generale da Chicago a Londra per ragioni fiscali. La notizia ha fatto scalpore a Chicago, ma solo pochi lavoratori saranno trasferiti, mentre il resto del business non verrà influenzato. Ora, non penso proprio che i gestori di fondi che hanno Aon in portafoglio, cominceranno a considerare l’azienda non più americana solo perché alcuni dirigenti sono in un altro paese.

...ma ancora presenti
Detto questo, non possiamo ancora affermare che la sede dell’azienda non giochi alcun ruolo nelle decisioni d’investimento del gestore o nelle prestazioni del fondo. Non è così raro trovare gestori che utilizzano diversi approcci di valutazione aziendale a seconda del paese di residenza della società. Ad esempio, James Moffett di Scout International ha spiegato in un’intervista rilasciata a Morningstar, di aver a lungo evitato società con sede in Russia o in Cina, poichè aveva poca fiducia nella cura dei rapporti con gli azionisti e nelle tutele legali per gli investitori. Solo di recente si sta aprendo a questi mercati.

Allo stesso modo, durante il periodo più caldo della crisi del debito della zona euro, alcuni gestori azionari hanno approfittato della situazione europea per acquistare titoli di leader mondiali a prezzi bassi, mentre altri hanno spiegato in interviste con gli analisti di Morningstar che non possedevano titoli italiani, portoghesi, spagnoli o irlandesi per evitare rischi. Evidentemente, il paese di residenza non sembrava irrilevante per questi manager.

Investitori non sempre logici
Come ormai ripetiamo da un po’ di tempo, gli investitori non prendono sempre decisioni logiche e lineari. Così, anche se il prezzo di un titolo dovrebbe essere quotato ad un certo livello in base ai suoi fondamentali, indipendentemente dalla sua “nazionalità”, ciò non significa che lo farà. Quando le cattive notizie su di un paese rimbalzano sui media, molti investitori tendono a ridurre le loro partecipazioni in tale mercato, senza fare differenza tra un titolo e un altro. Ad esempio, gli Etf-paese rendono molto più facile comprare o vendere tutto il mercato di uno Stato, piuttosto che prendere decisioni individuali sulle imprese.

Inoltre, bisogna sempre ricordare che i fondi che possiedono titoli stranieri sentono l’impatto delle fluttuazioni valutarie (se non coperti). Quando una valuta estera guadagna nei confronti dell’euro, i rendimento del fondo ne beneficerà, o almeno la parte investita nei titoli riconducibili a quella valuta. Ovviamente, vale anche il contrario.

Il giusto equilibrio
È importante capire che la diversificazione geografica non può fare miracoli (di norma se le azioni domestiche crollano, è improbabile che quelle estere balzino), ma non bisogna nemmeno pensare che sia completamente inutile: essa aiuta a capire quanto un fondo sia esposto a mercati diversi da quello di riferimento e alle fluttuazioni valutarie.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Gregg Wolper  Gregg Wolper is an editorial director and senior mutual-fund analyst at Morningstar.

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