Cosa manca a Shanghai per essere Wall Street

Più consumi interni e apertura agli stranieri hanno trasformato la Borsa americana nella più grande piazza finanziaria mondiale. E la Cina impara.

Marco Caprotti 08/02/2012 | 09:37
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Una Borsa aperta alle società straniere e una domanda interna forte. Sono questi i due elementi che mancano, almeno dal punto di vista finanziario, alla Cina per assomigliare sempre di più a un paese capitalista evoluto. Sviluppare questi due fattori, tra l’altro, in ultima analisi porterà a pratiche di corporate governance sempre più evolute e a sistemi di lavoro maggiormente sostenibili. Se non per volontà del governo, almeno per la pressione che arriverà dagli investitori internazionali. Il modello di riferimento è l’America che, nonostante la crisi dei subprime scoppiata nel 2007 e la fatica a ripartire evidenziata anche l’anno scorso, resta il primo mercato azionario del mondo e la locomotiva della congiuntura mondiale. Per quanto riguarda i mercati regolamentati la differenza la fanno i numeri e l’organizzazione.

Wall Street vs Shanghai e Shenzhen
Il New York Stock Exchange (Nyse), soprannominato Big Board, è la più grande borsa valori del mondo per volume di scambi e la seconda per numero di società quotate. La capitalizzazione totale è di 21mila miliardi di dollari, di cui oltre 7mila miliardi di aziende non americane. Il suo orizzonte geografico, tuttavia, si è ulteriormente ampliato da quando si è sposato con Euronext, entrando pesantemente nelle contrattazioni effettuate nel Vecchio continente.

Nelle borse cinesi (principalmente Shanghai e Shenzhen) vengono trattati due tipi di azioni: le A e le B. Le azioni A sono titoli di aziende cinesi disponibili agli investitori locali cinesi (privati ed istituzionali) e agli operatori esteri (banche commerciali, merchant bank, compagnie di assicurazione e fondi di investimento), che sono riusciti ad ottenere dal governo di Pechino lo status di Qualified foreign institutional investors (Qfii). Nel dettaglio, tale status è assegnato dalla China securities regulation commission, mentre la Safe (State administration of foreign exchange) si occupa di regolare la quota di investimento che un investitore estero può collocare nel mercato cinese.

Ad oggi esistono 49 istituzioni straniere che hanno ottenuto il titolo di Qfii e che possono investire fino a 10 miliardi di dollari (la quota dovrebbe presto essere triplicata per favorire l'apertura delle piazze della repubblica popolare agli investitori esteri). Altra caratteristica fondamentale delle azioni A è che sono trattate nella valuta locale (renminbi-yuan).

Le azioni B sono, invece, titoli di aziende cinesi contrattati in dollari statunitensi a Shanghai e in dollari di Hong Kong a Shenzhen. Dal 1992 al 2001 tali azioni sono state negoziate solamente da operatori stranieri. Dal febbraio 2001 il mercato delle azioni B è stato aperto anche agli investitori nazionali. Anche i cinesi, tuttavia, stanno guardando alle opportunità che possono dare le quotazioni di aziende straniere. Da mesi la comunità finanziaria internazionale sta parlando del progetto dello Shanghai Stock Exchange di lanciare un segmento dedicato alle società estere. Un’idea che ha già scatenato l’appetito di colossi come Coca Cola, Hsbc, Unilever e Standard Chartered interessati ad aumentare la presenza e la visibilità in un paese che offre possibilità di business ancora enormi.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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