L'America latina è sempre più lenta

La crisi europea e il rallentamento degli Usa rendono più cauti gli investitori che preferiscono evitare l'area emergente.

Marco Caprotti 20/10/2011 | 13:58
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L’appetito per il rischio scarseggia e l’America latina per gli investitori sta diventando un boccone sempre più indigesto. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 19 ottobre e calcolato in euro) ha perso il 4,2%, portando a -24% la performance da inizio anno.

Colpa, soprattutto, della crisi europea del debito e del rallentamento (qualcuno parla di una possibile recessione) degli Stati Uniti che stanno facendo passare la fiducia degli investitori verso gli asset storicamente considerati più a rischio. Ma anche delle prospettive macroeconomiche che, almeno nel breve periodo, non sono molto brillanti. “Le economie del Sudamerica dovrebbero registrare rallentamenti, anche se modesti, della crescita del Pil sia nel 2011 che nel 2012, a causa soprattutto della riduzione della domanda di materie prime da parte dell’Asia”, spiega uno studio della società di consulenza Thomas White International (Twi). Questa situazione dovrebbe risparmiare Argentina e Cile. Nel primo caso il merito va alle politiche di investimenti pubblici che hanno fatto bene all’occupazione. I cileni, invece, devono ringraziare l’indebolimento della valuta che ha reso competitivo l’export in un momento di congiuntura mondiale debole.

Una previsione che trova il conforto del Fondo monetario internazionale (Fmi) che ha appena portato le sue stime per quest’anno dal 4,6% al 4,5%. Secondo l’Fmi i paesi dell’area dovrebbero essere pronti a lanciare piani di stimolo economico se la domanda, sia a livello domestico che internazionale, dovesse subire ulteriori indebolimenti. La Banca mondiale, intanto, ha fatto sapere di attendersi una raffica di ribassi dei tassi di interesse da parte degli istituti centrali della regione che dovrebbero dare un po’ di ossigeno alle economie locali.

Il Brasile schiaccia sul freno
L’attenzione degli operatori è concentrata sul Brasile (la prima economia dell’area), al centro di un’ondata di proteste e scioperi dei lavoratori che chiedono un aumento dei salari per far fronte alla crescita dei prezzi al consumo. L’inflazione è arrivata al 7,5% (il massimo degli ultimi sei anni) superando abbondantemente il tetto del 6,5% fissato dalla Banca centrale nazionale. Per cercare di calmare la situazione il governo ha deciso di ridurre le tasse sulla benzina, ma questo non è servito a raffreddare la situazione. “I segnali di un rallentamento nella dinamica della domanda interna sono diventati più evidenti quando i dati giunti da alcuni settori hanno mostrato una minore voglia di spendere da parte dei consumatori”, spiega lo studio di Twi. A far preoccupare è soprattutto la diminuzione (inattesa) delle esportazioni. Nel frattempo le banche del paese si stanno mostrando poco propense a concedere prestiti al consumo.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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