Un futuro senza euro

Nel lungo termine si potrebbe rafforzare l’idea di restringere l’Eurozona a poche nazioni che possano condividere la moneta unica.

Valerio Baselli 20/10/2011 | 11:07
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È da quando è scoppiata la crisi della Grecia che si discute del futuro dell’euro. Per alcuni, l’abbandono della moneta unica è un’ipotesi fantascientifica, per altri sembra l’unica soluzione possibile per uscire dal pantano in cui si trova l’Europa. Ma un futuro senza euro è davvero possibile? Quali sarebbero le conseguenze?

Si parla già di euro-bis
In generale, il giudizio delle autorità è che l’euro debba essere mantenuto, non solo per la sopravvivenza dei governi e delle istituzioni finanziarie, ma anche per conservare intatto il sogno dell’Europa unita. L’euro è importante perché rappresenta l’ideale di un unico blocco economico, un’economia abbastanza grande da competere con gli Usa e i giganti emergenti dell’Asia. “Tuttavia, i mercati hanno riconosciuto apertamente la possibilità di un esito negativo per la moneta unita e lo hanno fattorizzato nel prezzo degli asset”, commenta Richard Woolnough, gestore del comparto M&G Optimal Income Fund. “Perciò, anche se il giudizio ufficiale è che l’euro non possa sparire, è auspicabile che i politici e i legislatori valutino le conseguenze di un possibile collasso della moneta unica, per essere pronti ad affrontare quello che fino a non molto tempo fa sembrava impossibile”. Ma proviamo a ragionare. Se la moneta unica venisse abbandonata, nascerebbero grossi problemi legati ai contratti già esistenti. “Per risolvere le questioni legate ai contratti esistenti nella valuta comune, ci sarà bisogno di un successore all’euro in rapporto di 1 a 1, che chiameremo euro bis”.

Secondo Woolnough esso succederebbe all’euro in modo simile a quanto questo ha fatto con l’Ecu, ovvero la valuta-paniere introdotta dal Consiglio Europeo nel 1978. “Il paniere valutario che formerà l’euro bis potrebbe essere basato sul contributo di ciascun paese dell’Eurozona al capitale della Bce”. Le conseguenze dell’introduzione di un euro bis, in data comunicata con il dovuto anticipo, avrebbero una portata enorme. “Le banche centrali potrebbero definire i propri tassi d’interesse, stampare la propria moneta e influenzare i tassi di cambio”, afferma il gestore di M&G. Insomma, la speranza è che possano lavorare insieme per il bene dell’Eurozona. Detto questo, anche se non venisse mai applicato, secondo Woolnough “l’esistenza dell’euro bis quale piano B alternativo fornirebbe minori elementi negativi rispetto alle teorie attuali e aiuterebbe quindi la stabilità dei mercati”.

Occhi puntati su Atene
Secondo Steward Robertson, economista senior di Aviva Investors Londra, invece, l’Europa si deve svegliare e agire per porre fine alla crisi greca e minimizzare il potenziale effetto contagio. La questione fondamentale rigurda proprio la posizione della Grecia: Atene rimarrà nella zona euro, oppure ne uscirà adottando una nuova dracma? Robertson ritiene che un’uscita sia plausibile. “L’euro si è indebolito e le preoccupazioni sul futuro della moneta unica sono aumentate negli ultimi mesi. Tuttavia nel più lungo termine si potrebbe rafforzare l’idea di restringere l’eurozona a un gruppo di nazioni più forti che in futuro continueranno a condividere la moneta unica”.

L’unica certezza è che la Grecia non potrà ripagare i propri debiti, almeno non tutti. “Da un certo punto di vista questo potrebbe anche non essere un problema così grosso, visto che il mercato ha già scontato il default di Atene nei prezzi”, afferma Ronald Leven, senior currency strategist di Morgan Stanley. “Il vero pericolo, invece, è l’alto numero di banche europee che detengono titoli ellenici”. Non a caso, gli ultimi stress-test bancari non hanno preso in considerazione in default della Grecia nelle loro simulazioni, visto che pochi istituti li avrebbero superati.

Consigli pratici
Ma quali sono le mosse che un investitore europeo dovrebbe compiere in un momento così incerto come questo? “Penso che la probabilità che l’euro collassi sia molto bassa”, commenta Leven, “ma è una possibilità che esiste. Il nostro outlook sulla moneta unica resta negativo per almeno i prossimi sei mesi”. Secondo le analisi di Morgan Stanley, per la fine dell’anno il rapporto euro-dollaro si attesterà a 1,25. “Gli investitori europei devono puntare sulla diversificazione valutaria, preferendo su tutti dollaro Usa e yen giapponese; senza però dimenticare le valute dei paesi emergenti, in particolar modo quelle asiatiche, che offrono prospettive molto positive”.

*Questo articolo è stato pubblicato su Tuttofondi in data 15 ottobre 2011

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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