Quei falsi miti sugli emergenti

Quando si tratta di investire in paesi in via di sviluppo ci sono diverse convinzioni radicate, ma non tutte fondate.

Valerio Baselli 01/09/2011 | 09:40
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Ogni campo ha i suoi luoghi comuni. Alcuni sono facilmente smontabili, altri sono così vecchi che è difficile capire come siano nati. Un esempio? A maggio è stata pubblicata una ricerca dell’Università della Pennsylvania che smonta l’antica credenza secondo cui bisognerebbe bere almeno 8 bicchieri d’acqua al giorno per mantenere l’organismo sano; anzi, i due ricercatori affermano come “non sia ben chiaro in che modo si sia arrivati a questa raccomandazione”.

Quando si tratta di investimenti non si è da meno. Esistono parecchie regole non scritte che però vengono prese come l’Abc di ogni investitore: il mercato è volatile? Compra oro! In realtà è sempre meglio effettuare analisi empiriche prima di applicare metodi e regole per sentito dire.

Prendiamo una delle asset class che più ha regalato soddisfazione negli ultimi anni: i mercati emergenti. “Oggi i paesi in via di sviluppo contribuiscono per il 50% alla crescita mondiale e questo trend continuerà anche nel futuro prossimo”, afferma Allan Conway, responsabile dell’azionario mercati emergenti di Schroders, in una nota. “La crescita del peso degli emergenti e i buoni fondamentali, hanno spinto gli investitori a dedicare una porzione del proprio portafoglio sempre maggiore a queste economie”. Anche in questo caso, però, esistono diversi “falsi miti” sull’investimento in mercati emergenti. Eccone alcuni.

Falso mito n° 1: Il Pil e la Borsa non vanno a braccetto
Molti studi affermano che la crescita economica e la performance del mercato non siano collegate. “In realtà questi studi si riferiscono a periodi temporali molto lunghi e non tengono conto dello stadio di sviluppo in cui si trova un paese”, commenta Conway. “Infatti, se la stessa analisi viene effettuata su paesi in via di sviluppo nei periodi di alta crescita la relazione cambia: il Pil della Corea del Sud è crescito dal 1981 al 1992 ad un tasso annuo del 9,6%, contemporaneamente il mercato è cresciuto del 18,2% annuo. Lo stesso in Taiwan, la cui economia reale è cresciuta del 7,9% annuo tra il 1973 e il 1981, mentre la Borsa ha registrato un +9% medio all’anno”.

Interessante anche uno studio di Goldman Sachs che dimostra come le previsioni sulla crescita economica influenzino le performance di Borsa più della crescita stessa, specialmente nei mercati emergenti. Secondo gli analisti, infatti, un aumento dell’1% nelle previsioni di crescita economica per l’anno successivo nei paesi sviluppati, si tramuta in un guadagno medio della Borsa del 14%. La stessa situazione nei paesi in via di sviluppo porta ad un guadagno medio del mercato del 26%.

Falso mito n° 2: Meglio non investire direttamente
Molto spesso si sente dire che è preferibile investire in società occidentali che lavorano nei paesi emergenti, piuttosto che direttamente nei mercati in via di sviluppo, anche perchè la quota di ricavi delle multinazionali derivante dai paesi emergenti è passata dal 9% del 1990 al 20% del 2010. “Tuttavia, seguire questo approccio significa avere un’esposizione solo parziale verso gli emerging market”, afferma Allan Conway. “Questo diluisce l’investimento e limita molto le potenzialità”.

Inoltre, basta guardare le performance registrate sino ad oggi. Negli ultimi cinque anni il BRICs Nifty 50 Developed Markets Index, un benchmark creato da Goldman Sachs che unisce le 50 società occidentali più esposte verso i mercati Bric (Brasile, Russia, India, Cina), ha guadagnato il 6,6%, contro il +44,9% dell’Msci Emerging Markets. Nello stesso periodo lo S&P 500 ha perso il 7,7%.

Falso mito n° 3: Meglio il debito
In un contesto globale di tassi d’interesse rasenti lo zero e col problema del debito sovrano europeo, l’attrattività del debito dei paesi emergenti è cresciuta esponenzialmente. “La sua convenienza rispetto alle azioni, però, è ormai esaurita”, si legge nel report Schroders. “La forte crescita economica e i buoni fondamentali di bilancio di queste economie hanno portato ad un miglioramento generale del rating di credito e quindi ad un restringimento dello spread coi titoli di debito occidentali”. Anzi, oggi, alcune economie in via di sviluppo sono considerate dei creditori più affidabili rispetto ad alcuni paesi sviluppati. “Discorso diverso per l’equity, che secondo noi è ancora sottovalutato e presenta un profilo di rischio-rendimento molto più interessante”, conclude la nota.

Falso mito n° 4: Meglio gli Etf dei fondi attivi
Questo è un dibattito che va oltre gli specifici mercati emergenti. Ma forse è ancora più importante in questo caso. I mercati azionari non sono efficienti e i mercati dei paesi in via di sviluppo lo sono ancora meno. Sono meno liquidi e meno regolamentati. Perciò, in questi casi, lo stock picking aumenta la propria importanza.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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