Squilibri globali, non basta il G20

Il controllo dei flussi di capitali non è il rimedio. La posta in gioco della guerra delle valute è la ridistribuzione della ricchezza.

Sara Silano 11/11/2010 | 14:05
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Con la puntualità di un orologio svizzero, il giorno prima dell’apertura del G20, la Cina ha comunicato che il suo surplus commerciale ad ottobre ha toccato i 27,1 miliardi di dollari, ben oltre le aspettative degli analisti. Timing perfetto considerato che gli squilibri globali sono il tema caldo dell’incontro tra i leader delle venti nazioni più industrializzate, in programma l’11 e 12 novembre a Seul.

Squilibri mondiali
Se Pechino esporta più di quanto importa, al contrario gli Stati Uniti hanno un gap di 44 miliardi di dollari (dati a fine settembre), al quale proprio le merci cinesi danno un cospicuo contributo, che la debolezza del biglietto verde non riesce a contrastare del tutto. Ma gli sbilanci non finiscono qui. L’India ha un deficit strutturale, che è peggiorato nell’ultimo decennio, mentre altri emergenti, come il Brasile e la Russia hanno un andamento della bilancia commerciale fortemente influenzato dalla domanda di materie prime. Eurolandia ha registrato un disavanzo di 4,3 miliardi di euro ad agosto (dati Eurostat), ma la Germania ha un avanzo invidiabile che ha attirato recentemente le critiche da parte degli Stati Uniti. D’altro canto, Berlino non ha nascosto la sua disapprovazione per la politica di allentamento monetario nota come Quantitative easing II d’oltreoceano.

L’ombra del protezionismo
Gli esperti non si attendono grandi svolte dal G20 (si chiude venerdì 12 novembre), oltre l’intento a lavorare a delle linee-guida per ridurre gli squilibri. E l’ombra del protezionismo si allunga. I segnali sono inequivocabili. Dal giugno scorso, alcuni Paesi, come il Brasile, la Thailandia, Taiwan e la Corea del sud hanno introdotto dei limiti alla libera circolazione dei capitali. In Cina, i vincoli sono stringenti ed esistono da lungo tempo. Inoltre, Pechino ha imposto delle restrizioni sui metalli rari (rare earth) molto usati nell’industria di tutto il mondo. Secondo il Global trade alert group, che monitora i commerci internazionali, dal summit di giugno dei grandi della terra ad oggi sono state intraprese 111 misure a danno del commercio internazionale, che salgono a oltre 500 dall’inizio della crisi.

Gestire il surplus
Se il deficit è un problema, la gestione del surplus commerciale non è meno impegnativa. Uno studio, realizzato dal Fondo monetario su 28 episodi di passaggio da surplus a deficit in Paesi sviluppati ed emergenti negli ultimi cinquant’anni, mostra che l’inversione si verifica soprattutto in seguito a cambiamenti nella linea politica, in particolare quando c’è la volontà di stimolare la domanda interna e favorire le riforme strutturali. E’ meno influente l’apprezzamento della valuta, anche se è quasi sempre un fattore presente in queste fasi. L’analisi sfata, inoltre, la convinzione che il risultato di un azzeramento del surplus sia una minor crescita della produzione e quindi un aumento della disoccupazione, perché nei periodi di transizione si assiste spesso all’incremento dei consumi interni e degli investimenti, che compensano la diminuzione delle esportazioni.

Il ricorso al controllo dei flussi di capitali non sembra risolutivo, in particolare per l’Asia. Come si legge in una nota di Axa Investment managers, non servirà a controbilanciare l’apprezzamento di queste valute e aumenta il rischio di perdita di autonomia nelle politiche monetarie. Il pericolo è reale: dopo essere stata posticipata a causa della crisi del debito europea, la normalizzazione monetaria in Asia è ora frenata dall’iniezione di liquidità decisa dalla Federal Reserve, con il rischio di bolle speculative, legate a tassi troppo bassi.

Sono dubbiosi sull’efficacia delle misure di controllo dei flussi anche gli economisti di Goldman Sachs, i quali sono dell’idea che per ridurre significativamente gli squilibri globali il dollaro debba ancora svalutarsi ulteriormente e le valute asiatiche (escluso lo yen) rafforzarsi. Per Robin Brooks, Dominic Wilson e Stacy Carlson, quello che il G20 sta cercando di negoziare è una ridistribuzione della ricchezza globale attraverso gli aggiustamenti valutari, ma, considerato che questi dovrebbero essere di grande portata, sarà difficile che il summit possa arrivare a questo risultato. Molto più probabilmente saranno cambiamenti graduali nel tempo.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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