Pochi risparmiatori lo sanno, molti non se lo domandano; eppure quanto spendono per i loro investimenti è l’altra faccia di quello che ottengono, ossia dei rendimenti. La normativa Mifid 2 ha introdotto l’obbligo per le banche e le reti di consulenti finanziari di inviare un rendiconto dei costi ex post. Per il momento, tuttavia, si contano sulle dita di una mano gli intermediari che l’hanno già fatto con riferimento ai dati 2018.
Il documento, comunque, dovrà arrivare e gli investitori farebbero bene a guardarlo con attenzione. La normativa, infatti, prevede che gli intermediari illustrino nel dettaglio le spese sostenute realmente, non solo in percentuale, ma in valore assoluto, suddivise per prodotti e servizi (vedi le tabelle 1 e 2 dell’allegato 2 del Regolamento delegato della Commissione europea, che integra la direttiva 2014/65/UE).
Le voci di costo
Non esistono, tuttavia, standard condivisi per la rappresentazione di questi costi, per cui può essere difficile orientarsi. Alcune voci di spesa sono più familiari, come ad esempio la commissione di ingresso, di uscita o di gestione; altre meno. Con riferimento agli strumenti finanziari si pensi ad esempio ai costi di transazione, ossia quelli per la compravendita dei titoli, o alle fee di incentivo. D’altra parte, non è stato facile fino ad oggi comprendere il reale costo dell’investimento, dal momento che la normativa Ucits prevede solo la pubblicazione nella rendicontazione contabile (relazione annuale e semestrale) redatta per ciascun Oicr (Organismo di investimento collettivo del risparmio).
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