Interesse del cliente o dell’intermediario?

La Consob lancia il monito sui comportamenti opportunistici dell’industria. Il settore, però, sta registrando alti tassi di crescita ed è ottimista sul futuro. Ma teme la pressione sulla riduzione dei costi, dettata dall’avanzata delle strategie passive.

Sara Silano 30/07/2015 | 11:37
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La Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati, ha recentemente bacchettato gli intermediari di fondi esteri ed estero-vestiti, che rappresentano il 70,4% del patrimonio del risparmio gestito collocato in Italia (dati Assogestioni a fine maggio 2015), perché frappongono i loro interessi economici a quelli dei clienti. Il richiamo vale soprattutto per le commissioni di performance, in quanto le discipline differenti nei diversi paesi europei aumentano il rischio di “comportamenti opportunistici” e non in linea con i doveri di diligenza e correttezza da osservare nel rapporto con i sottoscrittori.

“Gli intermediari sono tenuti all'individuazione e alla conseguente gestione del conflitto di interesse determinato dall'offerta di Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio) caratterizzati da eventuali meccanismi commissionali più vantaggiosi per i gestori e, in ragione di sistemi di ‘retrocessione’ di provvigioni, per i distributori stessi”, si legge nella comunicazione Consob (n. 0055927 del 10 luglio 2015). “Negli stessi termini sono da individuare e gestire anche i conflitti derivanti da rapporti di gruppo”.

L’authority sostiene che “la selezione dei prodotti da offrire/consigliare alla clientela non può fondarsi su valutazioni di mero vantaggio economico per l'intermediario, ma deve essere rivolta a soddisfare gli interessi dei clienti serviti”.

Valutazioni da rivedere
Tanto è bastato per fare dire a Goldman Sachs che “l’intervento del regolatore genera incertezza sulla sostenibilità delle attuali pratiche relative alle commissioni di incentivo, che può pesare sulle valutazioni di alcune società di gestione domestiche”. La banca d’affari ha quindi ridotto il prezzo-obiettivo di Mediolanum, Banca Generali e Azimut,  le quali hanno fondi domiciliati in Irlanda o Lussemburgo. Non ha, invece, toccato il target price di Anima, in quanto la maggior parte della gamma è di diritto italiano, quindi già soggetta a regole più stringenti.

Un momento d’oro
La doccia fredda della Consob arriva in un momento d’oro per l’industria del risparmio gestito. Dall’inizio dell’anno, secondo le statistiche di Assogestioni, sono stati raccolti 87,7 miliardi di euro è il patrimonio ha superato i 1.700 miliardi (dati a fine maggio). Anche a livello europeo, Morningstar ha stimato flussi netti per 231.184 miliardi nei primi cinque mesi, di cui 191 mila miliardi nei fondi a lungo termine.

Gli asset manager stanno cercando di cavalcare la fase di crescita, come emerge da una ricerca commissionata da State Street a FT Remark e condotta tra aprile e maggio 2015, che ha coinvolto 400 operatori del settore al livello internazionale (quattro in Italia). Le linee di cambiamento riguardano le strategie aziendali, con il 95% degli intervistati che intravede prospettive positive per le acquisizioni e il 46% che le sta attualmente valutando; e i prodotti, ambito nel quale la preferenza va alle soluzioni multi-asset e liquid alternative, che differiscono da quelle tradizionali per la maggiore flessibilità, l’assunzione di posizioni lunghe e corte e l’obiettivo di rendimenti svincolati dalle fasi di mercato. Infine, altri due fattori di cambiamento sono la personalizzazione, la maggior trasparenza del servizio e il “dialogo” sul rischio con i clienti.

Sotto pressione per ridurre i costi
In un’industria dove molti flussi si stanno spostando verso i più economici fondi passivi, in particolare azionari (nel 2014 la crescita organica di questi ultimi è stata del 10,45% contro un magro 1,28% degli attivi), gli asset manager considerano i costi un rischio: il 96% dichiara di essere sotto pressione per una loro riduzione. La risposta, però, non sembra essere una competizione al ribasso, come si è visto nel segmento degli Etf (Exchange traded fund), ma il lancio di prodotti “su misura” e “assemblati”. Questa tendenza emerge chiaramente in Italia, dove gli intervistati considerano “critico” il quadro regolamentare, in particolare le conseguenze della direttiva comunitaria Mifid II in materia di incentivi ai distributori (sotto forma di commissioni di retrocessione). Secondo le società di gestione, la regolamentazione potrebbe produrre uno spostamento dalla distribuzione diretta dei fondi a prodotti come le gestioni patrimoniali e le polizze assicurative.

Italia davvero in salute?
La fotografia dell’industria italiana scattata da State Street ritrae un settore in salute, dove gli asset manager delle banche stanno raccogliendo i maggiori flussi della crescita della raccolta (nel 2014 è quasi raddoppiata rispetto al 2013 a 91 miliardi di euro, fonte Assogestioni). Fanno difficoltà, invece, gli operatori indipendenti, senza una relazione forte con i canali distributivi bancari, così come non riesce a decollare il sistema di negoziazione in Borsa.

In una ricerca globale sull’esperienza degli investitori in fondi, pubblicata da Morningstar, le pratiche distributive, ancora troppo dipendenti dal sistema bancario, sono risultate penalizzanti per l’Italia nel giudizio complessivo. Ampi spazi di miglioramento ci sono anche sul fronte dei costi dei prodotti (primi fra tutti quelli a cedola che hanno avuto tanto successo negli ultimi anni) e nei meccanismi di remunerazione dei gestori. Un buon servizio ai clienti parte proprio di qui.

 

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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