“Lo stipendio del più alto dirigente di una grande azienda non è un premio conferito per i risultati ottenuti. Spesso assume la natura di un caloroso gesto personale verso se stesso”. Forse è stato anche pensando alle parole dell’economista John Kennet Galbraith (noto pure per le sue posizioni critiche nei confronti del capitalismo tradizionale) che alla fine degli anni ’70 l’allora amministratore delegato di Chrysler, Lee Iacocca, ha accettato di buon grado uno stipendio di un dollaro. L’esigua busta paga faceva parte delle clausole contenute in un pacchetto di aiuti federali al gruppo auto Usa.
Spirito di sacrificio?
Per gli investitori e gli operatori di mercato in genere è diventato però un simbolo dello spirito di sacrificio che deve avere un manager quando chiede a tutti i dipendenti uno sforzo per rimettere in piedi l’azienda per cui lavorano. Dai tempi di Iacocca, infatti, è diventato più comune, almeno negli Stati Uniti, accettare di fare il Ceo in cambio di un salario simbolico. I più famosi oggi sono i casi di Citigroup, Google, Oracle e Whole Foods.
Di solito alla base di questa scelta ci sono due motivazioni. Una è di fiducia: il top manager (che di solito è anche azionista) è talmente sicuro del futuro della sua azienda da rinunciare allo stipendio. Tanto poi si rifarà con i dividendi e rivendendo una parte dei titoli. Un esempio che viene sempre fatto di questo tipo di atteggiamento è quello del fondatore di Apple, Steve Job, che ha fatto uscire il gruppo da uno stato di crisi portandolo ad essere uno dei più importanti del mondo. Lui, nel frattempo (e prima della sua morte nel 2011) è entrato nelle classifiche dei multi-miliardari.
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