Etp, chi scampa alla Tobin Tax

I replicanti possono essere un modo per non pagare l’imposta. Qualche effetto indiretto, però, può essere sentito dagli strumenti sintetici.  

Azzurra Zaglio 28/10/2013 | 15:23
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Chi investe in Etp può evitare la Tobin tax? Dipende. In generale, secondo la Legge di Stabilità 2013, (che ha introdotto la tassa) i replicanti sono esentati dal pagamento dell’imposta sulle transazioni sui titoli italiani e sui derivati (per i primi è entrata in vigore a marzo, per i secondi a settembre). Tuttavia si possono verificare dei casi in cui la tassa, tramite giri tortuosi, arrivi a incidere sul costo del prodotto.

“L’introduzione del balzello ha aumentato i costi per chi vuole investire sulle azioni tricolori” spiega Massimo Siano, Responsabile del mercato italiano e francese per Etf Securities. “È naturale che gli investitori vogliano trovare il modo di minimizzare le spese di negoziazione. Soprattutto quelli che operano nel breve termine e che scambiano titoli in Borsa frequentemente. In questo senso gli Etf sono una soluzione soddisfacente”.  

Secondo i dati di Borsa Italiana, il mercato EtfPlus pochi mesi dopo l’introduzione della nuova tassa ha raggiunto un record storico negli investimenti in Etp, toccando quota 23,66 miliardi di euro (dati di fine maggio 2013). Un incremento che gli operatori spiegano proprio con la ricerca di strumenti per evitare la nuova imposta. In base alla Legge, infatti, la compravendita di quote di replicanti su azioni italiane è esente dall’imposta. Gli Etc, invece, non la pagano perché copiano, direttamente o indirettamente, l’andamento di materie prime fisiche o contratti derivati su commodity.

I dettagli da considerare
Tutto bene, quindi? Non proprio. Anche se le transazioni che riguardano gli Etp non sono soggette a questa tassazione, gli investitori devono sapere che ci possono essere alcuni costi indiretti legati alla Tobin Tax di cui potrebbero risentire. Un esempio è quello della stipula dello swap (contratto derivato) degli Etf a replica sintetica, il cui sottostante è, per più del 50%, composto da azioni di società quotate italiane.

In questo caso, l’emittente del replicante per perfezionare l’operazione è tenuto a pagare l’imposta. Un costo che per il cliente finale si potrebbe tradurre in un effetto (anche se limitato) sullo spread.

C’è poi la questione dell’hedging, una pratica adottata dagli swap provider che, per coprirsi dai movimenti di mercato, acquistano e vendono azioni. Secondo alcuni di loro il costo dell’imposta per queste operazioni non va addebitato alla società che costruisce il replicante. Altri, invece, sono convinti che si debba fare. In ogni caso gli emittenti di Etf sono liberi di scegliere a quali provider rivolgersi, selezionando quelli che ritengono più efficienti e meno costosi.

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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