Cina, prove generali di liberalizzazione

Pechino prevede di riformare il sistema bancario. Secondo Morningstar, sarà un processo lento e graduale.

Iris Tan, CFA 09/12/2011 | 09:29
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Nonostante previsioni economiche negative, le banche cinesi hanno registrato utili robusti nei primi 11 mesi dell’anno. Tuttavia, i depositi bancari sono cresciuti molto poco rispetto agli ultimi anni e anche l’incremento nei prestiti erogati è in stallo. Il paragone con l’India è significativo. La Reserve Bank of India sta cominciado a permettere alle banche indiane di decidere in autonomia il tasso d’interesse applicato. Una delle principali ragioni dietro alla deregolamentazione indiana sta nel tasso d’interesse a lungo termine negativo, il quale spinge i capitali a lasciare i depositi bancari. Questi fenomeni spingono gli investori cinesi a prestare attenzione ad una liberalizzazione progressiva nei tassi d’interesse.

Il settore bancario cinese ha vissuto importanti cambiamenti negli ultimi 30 anni, evolvendosi da un arcaico sistema mono-banca fino a diventare un pilastro dell’economia nazionale che oggi finanzia almeno la metà del fabbisogno sociale, con oltre mille banche commerciali. Tuttavia, esso è ancora controllato e regolato dall’apparato statale. Il governo ha una forte influenza sui tassi d’interesse e sulle modalità di prestito. Invece di decidere il tasso intrabancario, la banca centrale impone quello da applicare ai depositi e ai prestiti lungo l’intera curva dei rendimenti. Il tasso d’intertesse regolato dalla banca centrale serve come un vero e proprio strumento di finanza pubblica, allo scopo di finanziare le infrastrutture e lo sviluppo dell’attività manifatturiera. Dall’altro lato, l’ampia liquidità e l’utilizzo inefficiente del credito a basso costo porta ad una forte inflazione. Dal 2003, i tassi bancari sono stati inferiori rispetto all’inflazione. I risparmiatori cinesi hanno quindi perso potere d’acquisto, il che non aiuta la crescita dei consumi (non a caso il peso dei consumi interni è passato dal 45,6% del periodo 1991-2000 al 34,6% del 2008-2010). La forte domanda di capitali ha costretto il governo a utilizzare strumenti quantitativi di controllo monetario. Tuttavia, l’utilizzo di questi strumenti ha prodotto forti distorsioni (il tasso Shibor a sette giorni ha avuto grandi fluttuazioni dall’inizio del 2010). Questo suggerisce che la mancanza di un tasso d’interesse determinato con logiche di mercato impedisce al regolatore di disporre di informazioni fondamentali sulle condizioni macroeconomiche e di liquidità.

Un processo graduale
Visto che la riforma del tasso d’interesse è cominciata con l’abolizione del tasso di prestito interbancario nel 1996, i passi principali verso la liberalizzazione sono già stati fatti. Ora, rimane l’ultimo passo: alzare il tetto massimo dei tassi di deposito e abbassare il limite minimo dei prestiti. Nonostante gli ottimi risultati finanziari delle banche grazie alla regolamentazione protettiva e alla forte domanda di credito, la disintermediazione finanziaria e la crescita anemica nei depositi sembrano imporre dei costi nascosti alla liberalizzazione dei tassi d’interesse in Cina. Innanzittutto, le banche cinesi hanno vissuto lo scorso ottobre il mese peggiore per quanto riguarda la crescita dei depositi dal 2003, contemporaneamente ad una contrazione dei risparmi. Dato che oltre la metà delle 15 banche quotate hanno registrato un rapporto prestiti-depositi vicino o eccedente il limite di legge del 75%, il diritto esclusivo di poter concedere prestiti diventa un fattore chiave di redditività e di crescita. Inoltre, visto che i risparmiatore rivedono periodicamente la loro asset allocation in cerca di rendimenti più elevati, i depositi e i conti correnti sono passati dall’85% al 70% degli impieghi totali dei cinesi nel 2005, mentre le soluzioni di risparmio gestito offerte o distribuite dalle banche sono scese dal 12 all’8%.

Ulteriori riforme sui tassi d’interesse sono state decise dal governo cinese nel dodicesimo piano economico quinquennale (2011-2015). Le esperienze di altri paesi hanno dimostrato come i governi siano in qualche modo costretti ad accelerare la liberalizzazione dei tassi d’interesse quando i depositi bancari soffrono la concorrenza di altri strumenti d’investimento a reddito fisso. Anche se la situazione cinese è molto simile, pensiamo che il governo abbia ancora tempo per poter incrementare il livello dei depositi bancari attraverso una riduzione del deposite reserve ratio e uno stimolo al credito. Soprattutto, pensiamo che ci siano ancora alcune condizioni da raggiungere, come la stabilità macroeconomica e una minore dipendenza sociale dal sistema bancario. Data la situazione economica globale, la crisi del debito sovrano in Europa e la forte dipendenza del sistema cinese verso i finanziamenti bancari (i prestiti bancari hanno rappresentato il 63% dei finanziamenti totali nei primi nove mesi del 2011), c’è un rischio significativo nello spingere per ulteriori riforme in questo momento. Il legislatore non deve dimenticare che spesso le riforme forzano le banche ad entrare in business rischiosi o ad abbassare le garanzie richieste per i prestiti, rischiando una crisi di credito. Inoltre, una riforma di successo necessita di meccanismi di pricing di mercato efficienti e miglioramenti nella trasmissione della politica economica, il che richiede un allargamento del mercato del debito, che in Cina conta meno di un terzo del totale.

Ancora tanto da fare
Basandoci sulle nostre previsioni economiche, pensiamo che un buon periodo per implementare la riforma dei tassi potrebbe essere dopo maggio 2012, quando la crisi finanziaria dovrebbe calmarsi e in Cina sono previsti segni di ribilanciamento economico, tra cui il boom dell’economia privata e dei consumi, i quali dovrebbero aiutare la migrazione per le banche da un sistema basato sui prestiti alle aziende pubbliche a uno indirizzato alle medie e piccole imprese private. In più, l’abbondanza di liquidità e la stabilizzazione monetaria aiuteranno ad alzare il tasso d’interesse sui depositi dopo la liberalizzazione.

Ci aspettiamo una riforma lenta e graduale in Cina, visto l’importanza del settore bancario e il suo contributo al gettito fiscale (le maggiori 5 banche pubbliche pagano ogni anno al Ministero delle finanze cinese 119 miliardi di yuan, circa l’1,4% del gettito totale). Come in molti altri paesi, i tassi di deposito a lunga scadenza sono quelli che verranno liberalizzati per primi. Non pensiamo che questo possa avere un grosso impatto sulle banche, al contrario della deregolamentazione dei tassi a breve termine. Teoricamente il margine netto per gli istituti bancari si assottiglierà a causa dei costi più elevati, per poi allargarsi di nuovo grazie a un nuovo mix di prestiti. Ci aspettiamo anche risposte molto diverse a seconda della banca, a causa delle differenze nei vantaggi competitivi e nelle scelte di gestione.

Quindi, basandoci sulle nostre analisi, nel caso in cui non ci fosse un processo di forte inflazione o una decisa competizione tra prodotti d’investimento a reddito fisso simili ai depositi, crediamo che la riforma verrà implementata in modo graduale, in modo da non intaccare ferocemente la reddittività degli istituti bancari cinesi. Ci aspettiamo che le banche con un alto livello di depositi (come la Industrial and Commercial Bank of China) o con una forte esposizione verso redditi non legati al tasso d’interesse (come la Bank of China), saranno meno interessate dall’impatto sul lato depositi. Mentre, istituti competitivi sul lato del retail banking e sui rapporti con le piccole imprese, inclusa la China Merchants Bank, sfrutteranno la loro forza nei segmenti appena citati.

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Info autore

Iris Tan, CFA  Iris Tan, CFA, is a senior stock analyst with Morningstar.

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