Il lusso Made in Italy davanti ad un bivio

La crescita dei mercati asiatici ha reso il settore del lusso ancora più globale ponendo le società italiane davanti ad una scelta: Borsa o fusione.

Francesco Lavecchia 05/12/2011 | 10:10
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È stato un 2011 in tinte chiaro-scure per il lusso tricolore. Se è vero, infatti, che i conti delle società italiane continuano a sorridere, le strategie di alcune tra le principali firme della moda italiana hanno mostrato come il settore del lusso sia davanti ad un bivio. La crescita economica dei paesi asiatici ha reso più urgente la necessità di raggiungere una grandezza dimensionale tale da poter competere sui mercati di tutte le latitudini, ma per questo occorrono ingenti capitali da investire nella distribuzione, nel marketing e nella pubblicità. Tali risorse finanziarie si possono ottenere con una politica industriale che punti fortemente alla valorizzazione del settore, o, in alternativa, attraverso il consolidamento del settore. Ma questo in Italia non è mai avvenuto perché le imprese, partite molto spesso da botteghe artigianali a conduzione familiare, sono sempre state restie a unire le forze, preferendo il controllo dell’azienda alle alleanze. 

Prada e Bulgari, destini paralleli
E’ per questo che aziende con una forte tradizione nel settore come Bulgari, Prada e Ferragamo si sono trovate a dover scegliere tra il ricorso ai capitali privati, attraverso la quotazione in Borsa, o accettare la corte dei grandi gruppi stranieri del lusso. Negli anni passati Gucci e Bottega Veneta che sono state acquisite dalla francese Ppr, mentre quest’anno è stata la volta di Brioni, anch’essa passata in mano di Ppr, e di Bulgari, rilevata da Lvmh. Prada e Salvatore Ferragamo al contrario mantengono issato il tricolore, almeno per il momento, e affidano al mercato il destino dei loro piani di crescita. Il debutto della casa di moda milanese, avvenuto a fine giugno sulla Borsa di Hong Kong, è stato accolto con entusiasmo, tanto che in quasi un mese di contrattazioni il titolo aveva guadagnato circa il 30%, anche se ora si è riportato sui livelli iniziali, vicino ai 39 dollari di Hong Kong per azione.  Ferragamo, invece, ha voluto puntare sul mercato interno, optando per la quotazione su Borsa Italiana, e dal 29 giugno scorso ha guadagno circa il 30%. L’obiettivo delle due case di moda italiane, comunque, è stato ampiamente raggiunto: Prada e Ferragamo sono state in grado di rastrellare sul mercato, durante il periodo di offerta iniziale, rispettivamente 1 miliardo e mezzo e 350 milioni di euro, che saranno utilizzati per finanziare il loro piano di espansione sul mercato asiatico. Negli ultimi tre anni la boutique milanese è cresciuta complessivamente del 51%, e un contributo decisivo in tal senso è arrivato proprio da questa regione che ora conta per il 26% dell’intero fatturato del gruppo. Per la casa fiorentina, quest’area geografica è ancora più importante, con la sola Cina che conta per circa il 20% del suo giro d’affari.

Il lusso non è a sconto
Possiamo dire, quindi, che la scelta delle società italiane del lusso di finanziarsi attraverso il mercato azionario ha raggiunto il suo obiettivo, ma pagherà allo stesso modo la decisione degli investitori di puntare su questi titoli? Al momento della quotazione, Prada era valutata 23 volte i suoi utili stimati per il 2011, mentre per Ferragamo la valutazione era addirittura superiore, pari a 24,4. Questi numeri non sono alti di per sé, ma se li relazioniamo con i rispettivi margini operativi (utile operativo/ricavi), 12% per Prada e 11% per Ferragamo, e li confrontiamo poi con quelli di Luis Vuitton, ci si rende conto di come le quotazioni delle due società italiane siano state generose. Luis Vuitton, leader mondiale indiscussa del settore del lusso, è infatti valutata 18 volte i suoi utili a fronte di un margine operativo  del 20%. L’americana Coach, che presenta la più alta marginalità tra le imprese del settore (30%), ha un price/earning di 21. I risparmiatori che investono sulle due italiane, quindi, hanno pagato un prezzo più alto per società meno profittevoli. Da inizio anno i titoli del lusso sono stati premiati dal mercato, con l’indice Msci World Apparel&luxury che ha sovraperformato il mercato mondiale (rappresentato dall’Msci World) di circa il 9%, spinto dalle prospettive di crescita del settore nei mercati emergenti. Si stima, infatti, che nel giro di cinque anni le aree in via di sviluppo rappresenteranno il 50% del fatturato complessivo dei beni di lusso, grazie ad una crescita del settore superiore al 90% fino al 2015, solo in Asia. Gli analisti però, hanno già scontano questo percorso di crescita nelle loro valutazioni e giudicano i principali titoli del lusso ormai sopravvalutati dal mercato, in media scambiati al 33% di premio e con un rating medio di due stelle.

La valutazione dei big del lusso
Dati al 2/12/2011, fonte dati Morningstar Select

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Info autore

Francesco Lavecchia

Francesco Lavecchia  è Research Editor di Morningstar in Italia

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