La frontiera non perde di vista le Banche centrali

La politica monetaria accomodante continua a favorire gli investimenti nelle aree non ancora emerging. Ma la differenza nel medio e lungo termine la faranno i processi di riforma. 

Marco Caprotti 01/09/2016 | 09:56
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Chi investe nei mercati di frontiera incrocia le dita e continua sperare in un rallentamento dell’economia globale. Una congiuntura mondiale che stenta a trovare il passo giusto, infatti, costringe le Banche centrali a mantenere un atteggiamento accomodante. In questa situazione i paesi considerati più rischio possono acquistare più facilmente valuta straniera portando avanti, fra le altre cose, i processi di modernizzazione.

I frontier ne hanno approfittato anche nell’ultimo mese (fino al 30 agosto). I fondi dedicati ai paesi non ancora emergenti hanno guadagnato mediamente (in euro) l’1,35%, portando a +4,7% la performance da inizio anno.

L’ostacolo petrolio
La strada per recuperare il 18,6% perso dai massimi toccati a settembre 2014 tuttavia è ancora lunga. E gli ostacoli non mancano. Uno su tutti: il petrolio. E’ vero che l’oro nero (di cui molti paesi di frontiera sono produttori) manda segnali di recupero. Tuttavia resta circa il 60% sotto rispetto ai massimi toccati nel 2014. Questo ha costretto alcuni stati che dipendono esclusivamente dal barile (come ad esempio il Kuwait) a portare avanti politiche di riduzione delle spese con tagli degli investimenti e dei sussidi. L’elemento positivo è che questi processi nel medio e lungo termine potrebbero portare a una maggiore efficienza e creare le condizioni per una crescita più sostenibile.

Chi ne approfitta
A fregarsi le mani per questa situazione sono soprattutto i paesi che importano petrolio come Vietnam e Pakistan. Due nazioni che, fra le altre cose, stanno portando avanti una serie di riforme strutturali che potrebbero dare i loro frutti (anche in termini di interesse da parte degli investitori) nel corso dei prossimi anni. Anche in queste due realtà, tuttavia, i rischi non mancano. Il basso costo della vita registrato fino ad ora grazie al calo delle quotazioni delle commodity sta portando a una maggiore richiesta di beni. L’aumento della domanda rischia di generare una veloce crescita dell’inflazione che potrebbe andare fuori controllo.

Un report di luglio della Banca mondiale, intanto, ha mostrato che nei paesi di frontiera in cui i processi di modernizzazione sono stati più veloci, nel periodo dal 2010 al 2014, il Pil ha subito una accelerata di quattro volte superiore rispetto agli stati che su questo fronte se la sono presa comoda.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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