Fondi pensione verso il passaporto europeo

Bruxelles lavora per l’Unione dei mercati dei capitali, il che aprirebbe la strada a prodotti previdenziali standardizzati e commercializzabili in tutti i paesi memebri, simili ai 401k americani. Resta il nodo fiscale.

Valerio Baselli 17/11/2015 | 09:34
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I fondi pensione, almeno quelli individuali, potrebbero ben presto varcare i confini nazionali e diventare pan-europei. Lo scorso 30 settembre, infatti, la Commissione europea ha presentato il piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali (Action Plan on building a Capital Markets Union) con l’obiettivo di contribuire a creare un vero mercato unico dei capitali in tutti gli Stati membri dell’Ue. Tra le novità principali, il sostegno allo sviluppo europeo del terzo pilastro previdenziale (rappresentato dalla previdenza integrativa individuale, mentre il primo pilastro è costituito dalla pensione pubblica e il secondo da quella sottoforma collettiva), con l’introduzione dei PEPP (Pan european personal pension).

Appuntamento a febbraio
La Commissione europea ha chiesto all’EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority) un parere tecnico per definire i principi cardine su cui dovrebbe poggiare la legislazione di riferimento per porre fine all’insieme di regole nazionali che ostacolano il pieno sviluppo di un mercato ampio e competitivo per le pensioni personali. L’EIOPA fornirà il proprio parere alla Commissione entro il mese di febbraio 2016. Solo allora Bruxelles deciderà se procedere seguendo la strada rapida del Regolamento europeo, direttamente applicabile in tutti i Paesi dell’Ue, o quella della direttiva, che richiederebbe il necessario processo di recepimento da parte dei singoli Stati membri.

Durante il consueto periodo di consultazione (terminato lo scorso 5 ottobre) l’Authority ha messo assieme i pareri dei principali attori dell’industria del risparmio e dei sistemi previdenziali in Europa, tra cui, per l’Italia, Mefop, Assofondipensioni, Assoprevidenza e Assogestioni.

“Esprimiamo vivo apprezzamento per questa iniziativa della Commissione europea e per questo abbiamo partecipato e abbiamo intenzione di continuare a partecipare a tutte le fasi di definizione di un prodotto pensionistico individuale paneuropeo”, commenta Sonia Maffei, direttore settore previdenza di Assogestioni. “In particolare, ci siamo focalizzati su quelli che, secondo noi, sono gli aspetti più importanti, anche rispetto al mercato italiano: innanzitutto siamo fortemente convinti che questi prodotti debbano poter essere istituiti, gestiti e offerti solamente da soggetti già autorizzati ai sensi delle esistenti legislazioni europee di settore (cioè CRD, UCITS, Solvency, MiFID, IORP). In secondo luogo, riteniamo sia necessario rispettare le regole applicabili ai prodotti di previdenza individuale già esistenti a livello nazionale; per tale ragione supportiamo l’utilizzo del regolamento europeo quale strumento per disciplinarne l’istituzione e la regolamentazione in modo uniforme”.

Pro e contro
Il punto più discusso della proposta riguarda la fiscalità: per rendere il progetto attuabile, infatti, serviranno norme fiscali comuni in tutti i paesi membri. Solo in questo modo si potrà cambiare nazione di residenza senza per forza cambiare fondo pensione, oppure scegliere di aderire a un comparto straniero. “Le maggiori difficoltà riguarderanno sicuramente gli aspetti fiscali”, prosegue Maffei. “Come sappiamo, la fiscalità è materia demandata all’autonomia degli Stati membri, e i PEPP, per essere davvero standardizzati, dovranno in qualche modo conciliare questa autonomia con le esigenze di armonizzazione”.

Se si riuscisse a superare lo scoglio fiscale, i vantaggi sarebbero comunque notevoli. La creazione di un prodotto paneuropeo consentirebbe la possibilità di sfruttare economie di scala e, di conseguenza, di diminuire i costi per gli aderenti. “Guardando al lato della domanda e, quindi, ai risparmiatori, questi avranno a disposizione un prodotto standardizzato, con passaporto europeo e con caratteristiche chiaramente definite ed elevati standard in tema di trasparenza e protezione dell’investitore. Dal lato dell’offerta, per i gestori che come Assogestioni rappresentiamo, certamente la creazione di questi prodotti costituisce un’opportunità di accesso nel mercato della previdenza individuale a livello europeo”, conclude Maffei.

Modello Usa
Il terzo pilastro europeo si rifarebbe quindi al modello dei 401k statunitensi. Nati nel 1978, sono piani di pensionamento a contribuzione attivati da aziende, alimentati dai dipendenti e spesso anche dal datore di lavoro. A differenza dei fondi pensione negoziali disponibili in Italia, questi strumenti sono più agili e flessibili in termini di asset allocation (spesso c’è autonomia assoluta nelle scelte di portafoglio) e di portabilità in caso di cambiamenti nella situazione lavorativa o di semplice voglia di cambiare fondo. Inoltre, la tassazione è agevolata e differita e il capitale accumulato può essere ritirato in blocco o prelevato in più soluzioni, al compimento di un’età minima che non può essere inferiore ai 59 anni e 6 mesi. Il prelievo in tutto o in parte prima di tale età è possibile, ma soggetto alla tassazione ordinaria più una penalizzazione del 10%. 

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Info autore

Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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