Il secondo pilastro costa meno

Il segmento degli strumenti previdenziali integrativi aperti ha commissioni inferiori a quelle dei fondi comuni di investimento. Anche i rendimenti non sono male. Ma piace poco ai risparmiatori. La normativa non aiuta.

Azzurra Zaglio 29/11/2013 | 15:55
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Per chi vuole una pensione integrativa, un fondo dedicato è più conveniente di uno comune di investimento. Secondo un’analisi di Morningstar, infatti, a parità di categoria, il primo costa meno del secondo. Eppure l’industria del secondo pilastro della previdenza complementare continua a non spiccare il volo. Chi vuole crearsi un cuscino per quando uscirà dal mondo del lavoro, infatti, continua a preferire i comparti comuni che garantiscono una maggiore flessibilità di entrata e di uscita dallo strumento, facilitando la diversificazione del portafoglio. 

I bilanciati sono un affare
Resta il fatto che, scegliendo strumenti pensionistici, si può risparmiare sui costi. Sia le commissioni di gestione che il Ter (total expense ratio) sono minori.

La tabella indica come il divario tra i due universi sia evidente e si allarghi quando si parla di commissioni totali. In particolare, le linee pensionistiche bilanciate e azionarie consentono di risparmiare almeno lo 0,5% rispetto ai fondi comuni della stessa categoria. Con i bilanciati aggressivi e i moderati, poi, il vantaggio è più dell’1%. Gli obbligazionari e i monetari fanno eccezione: i fondi comuni sono meno cari dello 0,5%.

Poche adesioni
Gli investitori però non sembrano cogliere i fattori positivi della previdenza integrativa. In Italia, le dimensioni dell’industria sono ancora ridotte. La Covip (l’organismo di controllo del settore), infatti, conta 6.108.759 aderenti alle forme complementari (ultimo aggiornamento a settembre 2013), con un incremento rispetto alla fine del 2012 del 4,8%.

Eppure anche in termini di rendimenti i fondi pensione aperti non si comportano male. A cinque anni (fino a ottobre 2013), secondo l’analisi di Morningstar il loro guadagno, al netto dell’effetto fiscale è stato del 4,44%. Se confrontato con quello dei fondi comuni (6% a cinque anni) non si discosta poi molto, considerato che in questo caso si tratta di un valore al lordo delle imposte, così come previsto dalla riforma fiscale entrata in vigore il 1 luglio 2011.

I vantaggi
A investire in fondi pensione aperti ci si guadagna anche dal punto di vista delle tasse. I rendimenti finanziari maturati da questi comparti sono caricati annualmente con un’aliquota dell’11% e non del 21% come per i fondi comuni. Perché allora questi prodotti non decollano? Gli addetti ai lavori rispondono con ragioni legate alla normativa. La nuova regolamentazione, infatti, impone dei limiti di investimento ai fondi pensione che restringono il raggio d’azione dei gestori e degli investitori. I fondi comuni, invece, danno più flessibilità. Anche temporale, visto che il loro obiettivo non è necessariamente il lungo termine.

Ci sono poi ragioni di governance che, per la previdenza integrativa, non è stata ancora ben definita. Questo in molti casi si traduce (come sottolineato anche dalla Covip) in poca trasparenza nei confronti degli investitori. 

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Info autore

Azzurra Zaglio

Azzurra Zaglio  è stata Redattrice di Morningstar in Italia.

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