L'America cerca i sali

La congiuntura Usa è debole. Ma la frenata mondiale, dicono gli operatori, non peggiorerà la situazione.

Marco Caprotti 11/07/2012 | 15:18
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L’America non ha più quello stato di forma che tanto aveva fatto sperare gli operatori all’inizio dell’anno. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 10 luglio e calcolato in euro) ha guadagnato poco più del 3%, portando a +13,8% la performance da inizio anno. Gli andamenti, tuttavia, sono viziati dalla forza della moneta unica nei confronti del dollaro. Facendo i calcoli in valuta Usa ci si accorge che il paniere nelle ultime quattro settimane è salito dell’1,2% (+7,5% da gennaio). Un po’ poco per fare da volano alle Borse del resto del mondo.

Una locomotiva anemica
Gli ultimi dati arrivati da oltre Atlantico, del resto, parlano di un andamento macro un po’ anemico. La disoccupazione a giugno è rimasta ferma all’8,2%, lo stesso livello di maggio, deludendo le aspettative. I posti di lavoro creati nel mese di riferimento sono stati 80mila, meno dei 100mila previsti dagli analisti. I dati confermano quindi un rallentamento sul fronte dell'occupazione, visto che nel secondo trimestre la media di posti di lavoro creati è stata di 75mila unità al mese, tre volte meno rispetto al primo trimestre dell’anno. E’ scivolata dell’1%, intanto, la produzione industriale nel mese di maggio dopo la salita dell’1% registrata nel mese precedente. Gli analisti avevano stimato un incremento dello 0,5%. La produzione manifatturiera è scesa del 4% a fronte di un aumento dello 0,7% del mese precedente, con un incremento tendenziale del 5,2%. Nello stesso periodo la capacità di utilizzo relativa a tutti i settori industriali si è attestata al 79% dal 79,2% del mese precedente, e delle attese. E’ diminuita nel frattempo al 77,6% la capacità di utilizzo nell’industria manifatturiera (dal 78% di aprile).

L’agenzia di rating Fitch, intanto, ha confermato il giudizio di tripla A sugli Usa, ma ha aggiunto che l’outlook resterà negativo (quindi suscettibile di un futuro ribasso della valutazione complessiva) almeno fino alla fine del 2013. “L’incertezza sulle politiche fiscali e di spesa, associate al cosiddetto “precipizio fiscale” (il sovrapporsi di fine degli incentivi fiscali e tagli di spesa pubblica) pesa sull’outlook a breve termine”, dice la società di analisi nel comunicato che accompagna la decisione.

L’Europa non fa paura
C'è poi da considerare la questione della crisi europea che, si dice sempre più spesso nelle sale operative, potrebbe portare a un rallentamento globale e, di conseguenza, anche a una frenata degli Usa. “Il ragionamento è vero solo a metà”, dice Robert Johnson, responsabile dell’analisi economica di Morningstar. “L’America è meno dipendente dalle esportazioni rispetto agli altri paesi. Un rallentamento globale non avrebbe effetti drammatici sulla congiuntura statunitense. Il discorso è completamente diverso, invece, per le aziende dell’S&P500 che realizzano la maggior parte dei propri affari all’estero. Va poi aggiunto che la vera causa della frenata mondiale non è da ricercare nell’effetto contagio partito dal Vecchio continente, ma nelle politiche adottate da molti governi per tagliare l’inflazione e che alcuni stati adesso stanno abbandonando”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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